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V.

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Quando il signor Bernardo nel suo colloquio con l'Angelina disse di non sentirsi più buono a nulla, il poveretto esprimeva una cosa che era pur troppo vera. La difficoltà di comporre amichevolmente le sue faccende, il contegno ostile di alcuni creditori, la diserzione de' più fidati amici, e sopra tutto il pensiero del suo buon nome perduto, gli travagliavano l'animo siffattamente da renderlo inetto ad ogni lavoro. Non si riconosceva più. Aveva serbata la consuetudine di scendere la mattina per tempo nel banco, ma ivi giunto abbandonavasi sul suo seggiolone, rimanendovi immobile e muto, sinchè taluno non venisse a scuoterlo. Alle domande che gli erano rivolte rispondeva con monosillabi, i due commessi che attendevano ancora alla liquidazione dell'azienda dovevano regolarsi di proprio capo, tanto ardua impresa era quella di levargli una parola di bocca. Pur tratto tratto pareva risentirsi, e cercava fermare la mente su qualche disegno per l'avvenire, e si alzava, e gli si spianavano per un istante le rughe della fronte; ma di lì a poco lo vinceva la diffidenza di sè, e ritornava nel posto e nell'atteggiamento di prima. In casa, e specialmente con le due figliuole minori e con l'Angelina, era affettuoso, tenero come al solito: ma nè i baci dell'Amalia, nè le carezze della Matilde, nè lo sguardo amorevole, nè la parola confortatrice della nipote avevano virtù che bastasse a ravvivare le sue fibre intorpidite. E quando mercè il sacrificio di tutto il suo avere e per le cure operose di un legale, amico di casa, gli venne fatto di accomodare le cose sue senza lo scandalo dell'azione dei tribunali, il suo spirito anzichè sollevarsi si accasciò maggiormente. Che se prima si cullava per qualche minuto nell'illusione di poter riguadagnare un giorno a sè il nome d'un commerciante senza macchia, alla sua famiglia gli agî di una tranquilla esistenza, ora che facea d'uopo di romper gl'indugî e mettersi all'opera, si sentiva troppo disuguale all'impresa, e dalla difficoltà di risorgere misurava la profondità della caduta. E invero n'aveva ben donde. È agevole perdere le abitudini della economia, non così quello dello scialacquo, e in casa Mauri non v'era nè tanta forza d'animo, nè tanta virtù di rassegnazione da sapersi acconciare alle vicende della fortuna. Le facoltà della famiglia si riducevano ormai a qualche migliaio di lire della dote della signora Clara e al frutto del piccolo patrimonio dell'Angelina. Poco importa al lettore se la signora Clara per una innocente dimenticanza affermava che tutto il dispendio pesava sulle sue spalle, e che non vi sarebbe stata altra donna al mondo così pronta a sacrificarsi pel bene altrui. Forse in cuor suo ella sentiva di andar debitrice di moltissimo alla nipote, ma appunto per questo le si mostrava più fredda che mai. Non dovrebbe essere, ma pure è così: a venire in uggia ad una persona non c'è più sicuro modo che quello di renderle servigio. Il beneficato sbuffa come Encelado sotto il peso immane della riconoscenza e se ne sta all'erta per trovare i secondi fini della liberalità altrui, e se può scoprire mille difetti al benefattore, gli è come se avesse guadagnato un terno al lotto. Eppure chi rinunzierà per questo alle dolcezze di sovvenire alle miserie, di alleviare i dolori? Non certo anime soavi come l'Angelina, per le quali l'abnegazione diventa un'abitudine, per guisa da non accorgersi nemmeno ch'ella è una virtù. Il peggio si era che, alla lunga, con quelle entrate riusciva impossibile di tirare innanzi. Dal signor Bernardo non potevasi più sperar nulla: s'era provato, riprovato più volte, e non gli reggevan le forze; egli lo diceva con indescrivibile malinconia: — Sono diventato un mobile della casa e nulla più. — Intanto gl'imbarazzi crescevano; ogni giorno conveniva pensare a diminuire qualche spesa; oggi licenziare il maestro di musica, domani rinunziare a un vestito, un altro giorno a un piatto a tavola, e poi? Quando si fosse dato fondo alla dote della signora Clara, che cosa sarebbe rimasto? Non un centesimo fuori della sostanza dell'Angelina. Ora la giovinetta, che il giorno dopo la catastrofe aveva offerto allo zio tutto il suo avere, affinch'egli se ne servisse a pagare i suoi debiti e a ricominciare con maggior lena la via, non si sentiva più l'animo inchinevole a tanto sacrificio. Ella era pronta a dividere co' suoi ospiti anche l'ultimo tozzo di pane, pronta a vivere in più umile dimora e a vestire più dimessa; ma le ripugnava l'idea di veder travolta quell'ultima àncora di salvezza, di veder dileguarsi senza frutto la scarsa eredità de' suoi genitori. Aveva retto l'ingegno quanto buono il cuore, ed ella intendeva che il dare tutto il suo non servirebbe che a procacciare alla famiglia qualche anno di agiatezza, in fondo ai quale ed ella e gli altri troverebbero la miseria e forse l'indigenza. È agevole però immaginare se di questa sua saggezza non si mormorasse in famiglia. La signora Clara pareva tutta trionfante di poter dire al marito: — Vedete a che cosa si riduce la virtù della vostra protetta! Offerte d'ogni maniera, quando sapeva che non avreste nulla accettato; ma ora, al punto in cui siamo, non fiata nemmeno e la ci lascerà andare in rovina senza tenderci una mano. Diavolo! La vuol serbare intatta la sua dote. O che non l'ho sacrificata io la mia dote? Eh! l'ho sempre detto io che non si doveva fidarsi, e che ci eravamo presi a riscaldare una serpe.... Già voi non fate nulla, non tentate nemmeno di sollevare le vostre creature, e questa è la causa più grande de' nostri guai.... — Il pover'uomo, mortificato com'era e conscio de' suoi torti e della sua impotenza, mal riusciva a difendere la nipote così ingiustamente assalita, e forse mentre vedeva a pochi passi il precipizio e sentiva di non poterne recedere, maravigliavasi anch'egli che l'Angelina, la dolce Angelina, da lui stimata il buon genio della famiglia, non accorresse sollecita a tendergli le braccia, ad aiutarlo nelle sue nuove strette. Nè alla fanciulla sfuggivano siffatte mormorazioni sul conto suo, ma ell'era tanto sicura della propria coscienza da non darvi peso alcuno e da non far conto delle accuse. Anzi da qualche tempo il suo volto s'era fatto più sereno, e le raggiava dagli occhi una ilarità inconsueta. Usciva talvolta di casa soletta, e al suo ritorno aveva sempre un sorriso sul labbro ed era tutta amorosa e scherzevole verso la piccola Amalia, che le balzava incontro come bambino alla sua nutrice. Figuratevi se di queste sue passeggiate la signora Clara e la Nella facevan commenti: la Matilde stessa non ne sapeva lo scopo. V'era certo qualche amorazzo, qualche scandalo, che il cielo ci scampi e liberi, e la signora Clara aveva già deliberato di venire in chiaro della tresca, allorchè tutto divenne palese. L'Angelina, profittando di alcune antiche conoscenze di casa sua, s'era procurata delle lezioni di musica, col frutto delle quali ella pensava sovvenire a' bisogni più urgenti della famiglia, e se non l'aveva detto a nessuno, era perchè nessuno ponesse ostacoli al suo divisamento. Non ambiva le lodi. Che il signor Bernardo le rivolgesse uno sguardo amorevole, che la Matilde le saltasse al collo baciandola in fronte, era sufficiente guiderdone per lei. E che le importava se la bisbetica zia trovava da ridire in quel suo atto d'indipendenza, e giudicava disdicevole a una ragazza fregiata del nome Mauri di far la maestra di musica? e se ripeteva qua e là che l'era un cervellino balzano e che voleva far le cose a modo suo, e mentre non le mancava nulla di nulla, pur d'emanciparsi s'era buttata a quel mestieraccio? Del resto la signora Clara soggiungeva: — S'accomodi pure, che in fin de' conti non è se non mia nipote, e il suo tutore è quel grullo di mio marito; a me preme soltanto che la non si confonda con le mie figliuole, le quali, finchè vivo io, non andranno certo a guadagnarsi il pane in quella maniera.... Tutt'al più, se si trattasse d'essere istitutrici in una famiglia principesca!... —

Eppure dal dì che, orfana e derelitta, aveva dovuto ricoverarsi sotto un tetto che non era il suo, l'Angelina non si era mai sentita così tranquilla come allora che una vita operosa occupava le sue giornate, e la cresceva nella stima di sè stessa. Ella benediceva la memoria della sua povera mamma, che aveva educato in lei la naturale inclinazione alla musica e fin da bambina l'aveva tenuta per tante ore al suo pianoforte, e ripensava con entusiasmo al precetto sì spesso ripetuto dal padre suo: — Non esservi nulla di più onorevole che il lavoro; nulla che meglio del lavoro doni vigore al corpo, calma allo spirito, dignità all'esistenza. — Ella usciva ogni mattina alle otto, col suo vestito semplice, ma decente e quasi elegante, col suo passo svelto e sicuro, co' suoi diciannove anni sulla fronte, e percorreva senza trepidanza le vie più popolose della città, guardata da molti, non seguita mai da nessuno. I modi elettissimi e la rara abilità nell'arte sua le procacciavano le più liete accoglienze nelle famiglie ov'ella era introdotta, e le sue discepole, che la tenevano in conto d'amica, facevano a gara per usarle ogni specie di cortesia, e chi l'avrebbe voluta seco al teatro, e chi al ballo, e chi in villa. Però l'Angelina non accettava nulla; chè per tutto l'oro del mondo non sarebbe entrata in una società che non era la sua, nè avrebbe consentito a divertirsi, mentre la sua buona Matilde se la passava malinconicamente nella solitudine della sua stanza. Infatti se l'umore dell'Angelina s'era da qualche tempo reso più giocondo che non fosse per l'addietro, un mutamento contrario erasi operato nel carattere della Matilde. La vispa fanciulla aveva perduto da un pezzo la sua ilarità clamorosa: il suo spirito s'era per così dire accasciato sotto il peso di assidui pensieri; e dagli atti, e dall'aspetto, e dalle parole le traspariva un profondo disgusto degli altri e di sè. Vedere l'apatìa della sua famiglia che lasciava ad una estrania l'incarico di riparare alle proprie follie, e imbandiva sul desco il pane guadagnato dai sudori altrui, era cosa che feriva nel vivo i suoi nobili istinti. Ed ella sentiva in cuor suo che di queste colpe era complice, e ch'ella, giovane e vigorosa, avrebbe dovuto seguire l'esempio della cugina e porsi al lavoro. Ma una volta ch'ella aveva lasciato trasparire questo suo pensiero, aveva sollevato contro di sè una tempesta di rimproveri e di contumelie. La signora Clara aveva un'idea tutta sua sul decoro del proprio casato, e perchè nella sventura altro non rimaneva che un nome senza macchia, ella diceva sempre che non si avesse a compromettere permettendo che le figliuole scendessero ad opere mercenarie. Inoltre la Matilde non era di quelle nature energiche che negli ostacoli rinvigoriscono i loro propositi, e, innanzi ad una opposizione così risoluta, sentì fiaccarsi la sua volontà e divorò in silenzio le sue lagrime. Invero ella era divenuta assai infelice. Dacchè l'Angelina erasi fatta necessaria in famiglia, e con la tranquilla fermezza del suo carattere aveva inspirato rispetto ne' più renitenti, gli umori bisbetici della signora Clara e della sua primogenita si sfogavano sulla Matilde, la quale non poteva scendere nel salotto comune senza vedersi fatta bersaglio di mille accuse e mille punture. Le apponevano a colpa la sua ammirazione appassionata per la cugina, quasichè in casa non vi fosse altro di buono e di bello che quella ragazza, quasichè fosse da imitarsi in tutto e per tutto. Già ora le pesava di non potere starsene più l'intera giornata insieme colla sua indivisibile; le pesava di dover lavorare in compagnia di sua madre e di sua sorella. Figuratevi! Loro erano ignoranti, e l'Angelina era un'arca di scienza, che a passar un'ora seco ci s'imparava lo scibile umano. E poi il pianoforte dell'Angelina, che aveva trent'anni, era mille volte migliore di quello della Nella, giunto recentemente dalla più reputata fabbrica di Vienna, e per sonar bene bisognava proprio salire una scala e andare nel santuario della Dea. Del resto, era d'uopo confessarlo, l'Angelina aveva i suoi meriti; ma ella, la Matilde, di che cosa tenevasi, quali erano le sue particolari virtù?... Così martoriavano la povera giovinetta a colpi di spillo, ed ella intanto con febbrile celerità passava l'ago attraverso il suo ricamo, battendo convulsamente sullo sgabello il suo piccolo piedino e soffocandosi per non piangere. Ma quando l'Angelina ritornava a casa verso l'ora di pranzo, affaticata, eppur vispa e serena, col suo rotolo di musica sotto il braccio, con le sue cartoline di dolci in tasca per la vezzosa Amalia, la Matilde sentiva il bisogno di sfogare tra le braccia di lei il dolore represso, e dirle quanto amaramente soffriva.... E l'Angelina, che appena erasi accorta delle ingiustizie commesse a riguardo suo, non poteva a meno di risentirsi delle offese fatte all'amica, e si andava persuadendo che, fuori del suo povero zio e della Matilde, non v'era altri in quella casa, cui mettesse conto di sacrificarsi.

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