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UNA RIGA DI PREFAZIONE.

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Questi racconti, lettori carissimi, non pretendono punto di essere una novità. Il primo è comparso molti anni addietro in un modesto Almanacco, che, fra alcuni giovani veneziani, stampavamo ai tempi del dominio austriaco; il penultimo ebbe gli onori dell'Antologia; gli altri tutti videro la luce nella Strenna Veneziana, pubblicazione annua, alla quale prendevano parte anche scrittori di merito, ma che, come accade di tutte le Strenne, non poteva aspirare ad un'assai larga diffusione. Si sa che nelle Strenne il contenente uccide il contenuto, i cartoni soffocano lo stampato. Scendo a tanti particolari per iscusare questo tentativo di risurrezione. Infatti, una seconda edizione de' miei lavori non si spiegherebbe se non fosse chiarito che una prima edizione propriamente detta non vi è mai stata.

Del resto, io non mi dissimulo che queste cosuccie possono aspirare tutt'al più a esser giudicate mediocri. Ma siffatta considerazione non mi scoraggia.

Nei primi bollori della giovinezza, quando si spera di arrivare al sublime, si disdegna superbamente il mediocre, e si ripete quella sentenza che dev'esser stata proferita a vent'anni: non essere, in arte, permessa la mediocrità. Ognuno principia la vita con questo convincimento, ognuno, senza voler confessarlo, ne mitiga la rigidezza col maturarsi del senno.

A una sentenza assoluta che mi sembra fallace non ne contrapporrò un'altra assoluta del pari, e non porrò quindi la riabilitazione della mediocrità nell'arte come una tèsi generale. Credo invece ch'essa possa valere per buona parte della letteratura e pel romanzo in ispecie; credo che le opere eccellenti, come sarebbero, per esempio, I promessi sposi e Davide Copperfield, non debbano escludere mille altri libri di gran lunga inferiori, intesi alla pittura del vero, benchè inabili a riprodurlo con eguale efficacia. Quanto più si sparge l'abitudine del leggere, tanto più cresce l'opportunità del romanzo, che, per l'indole sua, è meglio atto a penetrare in tutte le classi sociali. Ebbene; il romanzo che riesce a provocare un onesto sorriso, a spremer dal ciglio una lagrima pietosa, a rinvigorire nell'anima un sentimento gentile, a svegliare nell'uomo accasciato dall'assiduo lavoro le virtù sopite della fantasia, quando pure non tocchi l'eccellenza dell'arte, può presentarsi senza baldanza, ma senza rossore, e prendere il suo posto nella folla delle opere letterarie. È un posto umile; però è un posto che giova vedere occupato, come piace che nei teatri, oltre alle poltrone ed ai palchetti, sieno occupate anche l'altre sedie.

Se questo volume adempierà almeno qualcheduna delle condizioni che ho pocanzi accennate, io non mi gonfierò certo di superbia come il tacchino che credeva d'esser pavone, ma neppure mi pentirò di averlo dato alle stampe.

Venezia, 14 luglio 1872.

L'autore.

Racconti e bozzetti

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