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E da questa pace il conte Alberto trasse animo a proseguire nel suo generoso apostolato.

Non ultima cagione della miseria dei contadini è il loro difetto di previdenza e la mala abitudine di prendere a fido le derrate necessarie al loro mantenimento. È una consuetudine doppiamente funesta: prima di tutto perchè espone que' poveri villici alle frodi de' trafficanti, i quali sanno risarcirsi ad usura del ritardo posto ai rimborsi; poi perchè quel comperare senza spendere seconda maggiormente gl'istinti dello scialacquo, e solletica in certo modo la vanità personale del contadino che ci mette amor proprio nel trovar credito. Non si può dir quante famiglie siansi ridotte all'estremo dell'indigenza mettendosi su questa via sdrucciolevole. Le polizze ingrossano, il merciaio ne esige il pagamento, e si rifiuta a fornire i suoi generi al debitore tapino; poi vengono gli atti, le oppignorazioni, ec., ec. Come nell'infanzia dei popoli, così nei primi rudimenti dell'educazione individuale convien far precedere l'idea e la pratica del risparmio a quella del credito; se no, fa d'uopo rassegnarsi alla giudiziosa interpretazione de' nostri villici, i quali sono singolarmente mortificati, quando non restino oppressi sotto il peso dei debiti. A sottrarre i suoi coloni alle conseguenze del funesto sistema, Alberto si fece iniziatore d'una di quelle istituzioni che in Inghilterra, in Francia, in Germania sorgono per impulso spontaneo del popolo, e fondò nella tenuta un deposito di derrate alimentari, che dovevano spacciarsi ai contadini della villa con un piccolo soprappiù di prezzo del costo. V'era però fissa la norma che non vi si farebbe mai credito.

Dopo ciò, nuovi cicalecci e nuovi clamori. Il nobilume, che vegetava tristamente nei dintorni sospirando invano il tempo che fu, levò un grido di scandalo allorchè vide scender sì basso un successore dei ***. — Oh nipoti degeneri! Quando mai un aristocratico puro sangue, un castellano dal blasone incontaminato avrebbe accudito all'umile ufficio di bottegaio? È questa la beneficenza spilorcia, subentrata alla larghezza di quelli che profondevano l'oro sul loro cammino? Un giorno i nobili, abbassando il guardo dai cocchi dorati, inebriavano le plebi con un benigno sorriso, e le plebi si stimavan felici per un solo accento ad esse rivolto. Ormai questi novatori hanno rotto la diga che li separava dal popolo; le acque del torrente si son rovesciate sui campi: quando sarà che si arrestino? — Così parlava, profetando sventure, il partito legittimista del luogo, il quale, visto la mollezza del parroco e dell'altre autorità paesane, raccoglievasi nei mesi d'autunno presso la baronessa Marina, ch'era la più coduta fra le bestie ragionevoli del villaggio. Però niuno sapeva proporre un modo di mettere argine al male, per opporsi alla propaganda diabolica del conte Alberto sarebbe stato mestieri di spender quattrini, e allorchè si toccava questa corda raffreddavasi d'assai lo zelo de' campioni dell'altare e del trono.

I moderati avevano anch'essi la loro paroletta di biasimo circa l'ultimo provvedimento del conte. — E' bisogna vivere e lasciar vivere, — dicevano alcuni; — che ragione c'era di levar gli avventori a' bottegai del villaggio, i quali son qui da tanto tempo e non hanno altra entrata che la loro industria? Perchè cacciarsi dappertutto? Sarà a fin di bene, lo vogliamo credere; ma in questo caso, per esempio, gli è certo che si fa del male a delle famiglie.... — Quanto a' due bottegai che avevano a subire la pericolosa concorrenza della nuova istituzione, essi stimarono di non poter prendere miglior partito che quello di domandare l'immediato rimborso de' loro crediti a quelli fra i villici che gli avevano privati della loro ricorrenza, minacciandoli di ogni sciagura ove non fossero pronti a pagare. E la minaccia avrebbe sortito il suo effetto, se Alberto, senza por tempo in mezzo, non avesse liquidato egli stesso le polizze de' suoi coloni, mandando a vuoto la tattica degli avversari e insieme placandone l'ire con l'insperato rimborso.

A fin d'anno il conte chiamò a sè i suoi contadini. — Miei cari, — egli disse, — quando io ho fondato quel magazzino di derrate alimentari, che diede tanto a discorrere, io non lo feci davvero per guadagnarci; mi premeva soltanto che trovaste da vivere più a buon mercato, e vi persuadeste con l'esperienza della virtù del risparmio. Se nello stesso tempo ho pagato i vostri debiti a' bottegai, di cui eravate avventori, lo feci perchè mi sembrava cosa dicevole e per gl'interessi altrui e per la reputazione vostra, non perchè intendessi farvi una carità; secondo me, la carità non deve farsi che quando non vi sia proprio altro modo di giovare al suo prossimo, e la mia era un'anticipazione, non un regalo. Voi cessavate di esser debitori degli altri divenendo debitori miei. Non ve ne sbigottite, ve ne scongiuro. In primo luogo io sono un creditore che aspetta; poi questo vostro debito è per alcuni annullato, per tutti diminuito. Ed ecco in qual modo. A malgrado de' prezzi mitissimi, a' quali si vendevano i generi nel mio magazzino, a malgrado delle mercedi che ho dovuto pagare, pure ne rimaneva un discreto utile, e questo utile veniva a voi, perchè, vi ripeto, io mi sono assunto l'ufficio di vostro mandatario e non più. Or bene, ripartendo il profitto in ragione delle somme spese da ciascuno di voi, ho posto le singole quote a fronte del vostro debito nel modo che vedrete dai conti che vi saranno consegnati or ora. Quelli tra voi che non avevano alcun debito da soddisfare, sono invece miei creditori e io pagherò loro l'importo ch'essi devono avere. Io spero che voi non sarete malcontenti della mia amministrazione, quantunque io la creda imperfetta da molti lati e soprattutto nel riparto degli utili. Vorrei che voi stessi poteste mettere insieme tanta moneta quanta bastasse a fare la speculazione da voi; allora in fin d'anno il profitto andrebbe diviso proporzionatamente alla somma da voi investita nell'operazione, e ciò sarebbe molto più giusto che non proporzionarla alla spesa. Ma chi principia convien si rassegni a far le cose a mezzo, e l'essenziale è per me di mettervi sulla buona strada.

— Ora concedetemi di ribatter le accuse che mi si fanno per essermi ingerito in siffatta bisogna. V'assicuro ch'io non ne sono pentito punto. Due o tre bottegai ne saranno stati danneggiati, lo ammetto; ma, d'altra parte, quante persone non n'ebber vantaggio? Gli è un conto semplice. Voi qui della villa siete, mettiamo, cinquanta famiglie. Ora se ogni famiglia ha potuto risparmiare 20 centesimi al giorno comperando gli alimenti più a buon mercato, ne viene che fra tutti ci avete guadagnato in 360 giorni 3,600 lire. È come se vi fossero state regalate, ma con la differenza massima che le vi vengono per diritto e non avete a ringraziarne nessuno. Però tiriamo innanzi. Queste 3,600 lire le avete forse nascoste sotterra? No: ve ne siete valsi per procurarvi qualche agiatezza di più, per provvedere a bisogni meno urgenti delle vostre famiglie; ma a tal uopo vi fu pur necessario di fare degli acquisti; onde vedete che se una o due botteghe ne hanno sofferto, ve ne sono invece che se ne avvantaggiarono, dimodochè pensando all'utile vostro non avete fatto il male altrui. Può darsi invero che alcuno di voi, anzichè spendere tutto il danaro risparmiato, lo abbia messo a frutto, ed io non potrei che approvare questo pensiero. Ma non crediate che una somma messa a frutto voglia dire una somma resa inoperosa: tutt'altro. Tanto le Casse di Risparmio quanto i privati che ricevono tali depositi, sanno trarne partito e farlo circolare con utilità generale. Inoltre non si dà un capitale in mano di terze persone se non per ritirarlo al momento opportuno, e comprendete quindi che verrà tempo in cui, adoperando il vostro danaro, alimenterete in proporzione delle vostre forze qualche industria, dando da guadagnare ad altri. In conclusione, statevi con animo riposato, e abbiate per fermo che quegli, il quale con modi onesti attende a migliorare le sue condizioni, non nuoce, ma giova sempre alla società. —

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