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CAPITOLO IX. LA SCOMUNICA.

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Castruccio dal canto suo non rimaneva punto d'infestare i fiorentini, anzi imbaldanziva sempre più, essendosi unito a lui contro Firenze il vescovo d'Arezzo; ambedue i quali, benchè avessero promesso al legato del papa di venire agli accordi, tenevanlo in parole. Laonde bisognò cominciare a pensare di opporsi loro con le armi; al quale effetto il Duca, affine di apparecchiarsi alla guerra, di sua propria autorità mise un'imposta di 60 mila fiorini d'oro a tutti i cittadini potenti, la quale bisognò pagare su due piedi. Il legato dall'altra parte cercava d'indebolire Castruccio e il vescovo Tarlati con le armi spirituali; e il dì 30 di agosto, con grande solennità, pubblicò aspri processi contro Castruccio e contro il vescovo, minacciando che fra due giorni avrebbe solennemente scomunicato ambidue nella piazza di Santa Croce, come fece veramente. A tal solenne cerimonia volle essere il duca con la duchessa e tutta sua gente; vi furono anche infiniti e fiorentini e forestieri.

E come tanto se ne era parlato i giorni innanzi, così anche la Bice si raccomandò a suo padre che ve la conducesse, mostrandosi vaga di vedere il legato del papa e il duca con tutta la sua corte; ma in cuore pensando solo al suo Guglielmo, il quale aveala sollecitata celatamente che facesse di esservi, e che egli pur vi sarebbe così e così. Nè quel buon vecchio di Geri le volle questa volta disdire, avendo caro anch'egli di veder quella cerimonia, dove si fulminava il più acerbo nemico del nome fiorentino; e non pensando nemmen per sogno che col duca fosse venuto in Firenze Guglielmo: e di fatto ve la condusse. Geri con la figliuola erano in un punto della piazza non molto lontano da dove era il duca con la duchessa, e dove per conseguenza era anche Guglielmo.

Assettatosi il duca e la duchessa con tutta la corte nel luogo loro assegnato, cominciò senza indugio la cerimonia, che qui non è fuor di proposito il descrivere. Nel mezzo della piazza era stato rizzato un altare posticcio, dinanzi a cui sul faldistorio sedeva il legato del papa, parato di ammitto, stola, piviale violetto e mitra semplice, assistito da dodici preti con le pellicce, tutti, anche il legato, con candele accese in mano; e quivi pronunziò la scomunica contro Castruccio in questa forma:

«Perchè Castruccio degli Antelminelli, istigato dal diavolo, non dubita di perseguitare santa Chiesa e la parte guelfa, disertare i beni di lei, e violentemente opprimere i poverelli di Cristo; per questo, solleciti noi, che per la nostra pastoral negligenza non ruini quello, di che siamo tenuti a rendere stretto conto nel tremendo giudizio finale, secondo la terribile minaccia di Dio stesso, là dove dice: Se non denunzierai all'empio la sua empietà, ricercherò da te il sangue di lui; lo ammonimmo la prima, la seconda, la terza e la quarta fiata, per convincere la sua malizia, e richiamarlo all'emenda, alla satisfazione ed alla penitenza, con riprensioni paternamente amorevoli. Egli nondimeno, lo sciagurato!, dispregiando le salutari ammonizioni della chiesa di Dio, cui tanto offese, enfiato dallo spirito di superbia, è ritroso contro di lei. Ci informano pertanto i precetti divini e apostolici, come sono da trattare siffatti prevaricatori, posciachè il Signore dice: Se la tua mano o il tuo piede ti scandalizza; e tu lo taglia e lo getta via. E l'Apostolo dice: Cacciate il tristo di tra voi. E Giovanni, il discepolo prediletto di Cristo, ci vieta fino di salutare tal uomo nefario, dicendo: Nol ricevete in casa, nè gli dite buon giorno; perchè chi il saluta comunica con le sue triste opere.

«Adempiendo per tanto i precetti divini ed apostolici, questo membro putrefatto ed insanabile, che più non patisce medicina, amputiamolo col ferro della scomunica dal corpo della Chiesa, acciocchè da tanto pestifero morbo non siano contaminate le altre membra di esso. Laonde, perchè dispregia le ammonizioni nostre, e le spesse esortazioni; perchè, invitato tre volte all'emenda e alla penitenza, non si diè cura di venire; perchè non riconobbe il peccato suo, nè lo confessò, nè mise innanzi veruna scusa per suoi messi, nè chiese perdonanza; ma, indurandogli il cuore il diavolo, sta pertinace nella malizia sua, per ciò, per giudizio di Dio onnipotente, del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, e del beato Pietro principe degli apostoli, e di tutti i santi; come altresì per l'autorità della mediocrità nostra, e della nostra podestà di legare e di sciogliere in cielo ed in terra, concedutaci da Dio stesso; Castruccio Antelminelli separiamo dalla percezione del sacro corpo e sangue di nostro Signore, e dalla compagnia di tutti i cristiani, e lo discacciamo dalle porte della santa madre Chiesa, così in cielo come in terra, e lui decretiamo essere scomunicato ed anatemizzato; lo priviamo di ogni sua dignità, e che ogni uomo lui e sua gente possa offendere in avere e in persona senza peccato; e lo condanniamo al fuoco eterno col diavolo e con gli angeli suoi, finchè ritorni al cuor suo, e si liberi di esso diavolo, facendo penitenza, e satisfacendo alla Chiesa di Dio, di cui tanto fece strazio, dandolo in podestà di Satana fino alla morte del corpo, acciocchè lo spirito di lui si salvi al dì del giudizio.»

E qui tutti i preti risposero:

— Sì, sì, sì.

Dopo ciò il legato ed i preti gettarono a terra le candele accese che avevano in mano, e così finì il rito; che si ripetè con poco divario, per la qualità diversa della persona, contro il vescovo d'Arezzo, il qual fu privato dello spirituale e del temporale.

Il legato del papa, la solennità della cerimonia, il tono enfatico col quale fu letto l'atto di scomunica, il bisbigliare e l'applaudire della gente, nulla non fu udito dalla Bice, che gli occhi e il pensiero aveva sempre a Guglielmo; e poco più vide e udì Guglielmo per la cagione medesima.

La duchessa ben si accorse di tutto, e celando la gelosia, meditava vendetta.

Geri vedeva la Bice stare come smemorata, ed a tutt'altro badare che alla festa; e continuamente volger gli occhi verso la corte, nè sapea che pensare; se non quando gli balenò il dubbio di quel che era; e subito fatta alzare la Bice, la ricondusse a casa senza risponder verbo alle dolci parole che quella povera figliuola gli andava dicendo.

Mentre il legato leggeva enfaticamente il solenne atto di scomunica, accadde cosa che va qui ricordata, perchè si rannoda in gran maniera coll'ultimo sventurato fine di Cecco. Questi era nel mezzo alla piazza in un capannello di suoi discepoli, e quando il legato arrivò a quel punto dove si diceva che il papa privava Castruccio di ogni sua dignità, e dava balía a ogni uomo di offenderlo senza peccato, non potè fare ch'ei non mostrasse di ridersene, e non esclamasse con tanto o quanto scherno:

— Ben altro ci vuole a privar Castruccio che quattro parole d'un prete: sarebbe ben capace Castruccio di privare il papa di tutte le sue dignità.

E coloro che facevangli corona non poterono non ridere alle parole di lui. Vicino ad essi per altro stava un frate minore, che udì bene quelle parole; e come colui che ben conosceva Cecco, gli disse, acceso di santo zelo:

— Maestro, codeste sono parole da eretici; chè ponete in dubbio la efficacia delle scomunicazioni papali.

— Eh, messer lo frate, non pongo nulla in dubbio io; il fatto parla da sè. Credete voi che, pronunciate con tanta solennità quelle parole, Castruccio abbia perduta ogni sua dignità? Credete che sia cosa agevole a chicchessía il potere offenderlo in avere e in persona? Provatevi un po' voi, messere, ad andare ad offenderlo; e vedrete a che giovano le parole di quella scomunica.

Il frate, che non era gran loico, non seppe che rispondere agli argomenti di Cecco; e però si stizzì maggiormente contro di lui, e tutto iroso gli disse:

— Cane paterino! codeste parole sono degne del tuo impuro labbro. Tu, condannato per eretico: tu, che dopo aver giurato di non insegnar la tua falsa scienza, porti in trionfo lo spergiuro insegnandola qui pubblicamente, tu devi parlar del papa come ne parli. Ma la mano di Dio non è abbreviata su gli empj; e proverai alla fine che cosa vuol dire il provocar l'ira sua. Va, maledetto: e ricordati che il riso degli empj è di breve durata.

E con atto di disprezzo e di abominazione si allontanò.

Cecco avrebbe risposto come si meritava a quella bestia di frate; ma cane scottato dall'acqua calda ha paura della fredda; e però si ritenne, perchè, essendo stato una volta nelle ugne dell'Inquisizione, e scampatone come per miracolo, non voleva trovarcisi la seconda.

Quel tafferuglio per altro aveva fatto nascere un certo tal movimento fra la gente d'attorno, e aveva dato nell'occhio al duca ed alla duchessa, che tosto mandarono a sapere che cosa fosse; nè poterono fare che non biasimassero acerbamente Cecco, a cui il duca volea farne duro rimprovero: se non che la duchessa si interpose, dicendo che ella stessa nel voleva rampognare, avendone pure un'altra cagione.

Mentre che queste cose si facevano in piazza S. Croce, eccoti levarsi voce in Firenze, che fosse fallita la compagnía degli Scali e Filipetri; la voce si fece ben presto certezza; e corsane la novella fra il popolo adunato a vedere la cerimonia della scomunica, distrasse da ogni altra cosa le menti di tutti, e ciascuno se ne commosse come di pubblica calamità.

La detta compagnía era durata, secondochè dice il Villani, più di centoventi anni, e trovossi a dare fra cittadini e forestieri più di quattrocento migliaia di fiorini d'oro; e fu a' fiorentini maggiore sconfitta, senza danno di persone, di quella dell'Altopascio, perciocchè chi aveva denari in Firenze perdè con loro; e molte altre buone compagníe, per il fallimento di quella furono sospette, con gran danno della città, la quale se ne sgomentò non poco. Uno di coloro che rimasero più danneggiati da questo avvenimento fu Geri Cavalcanti padre della Bice, che molta parte del suo avere, anzi la parte maggiore, avea in quella ragione; per modo che in tal giorno, tra per il fondato sospetto che Guglielmo doveva essere tornato a Firenze, e per questa sventura, fu il più disperato e deserto uomo del mondo, e nessuno poteva accostarsegli. La povera Bice, addolorata già molto dell'essere stata così bruscamente condotta via di piazza S. Croce, è facile a pensare come il dolor l'opprimesse alla novella della così grande sciagura del fallimento. Sapeva che suo padre caramente l'amava, e che essa, unica figliuola, doveva essere anco l'unica consolazione in tanta angoscia di lui, ma, benchè non uscissegli mai d'attorno, non si attentava per altro a profferire parola, avendolo veduto già così sdegnato contro di sè nel venir via da S. Croce, prima ancora che sapesse la cosa degli Scali; e mostrandosi, ora che lo sapeva, così acerbo e salvatico con tutti coloro che gli venivano dinanzi. Pure alla fine si fece animo:

— Mio dolce padre, ma tu stai male... — e non ebbe cuor di dir altro.

Geri stava seduto dinanzi a una tavola, col capo appoggiato sul palmo della mano, e con gli occhi socchiusi; nè ripose nulla alle timide parole della figliuola.

— Dunque non mi vuoi più bene... — riprese la Bice dolorosissima, e inginocchiandosegli dinanzi.

A questo amoroso rimprovero Geri, che l'amava più de' suoi occhi, sentì vincer la sua durezza, e rispose:

— Ah! non ti voglio più bene! Tu mi vuoi bene tu, che mi lasceresti qui solo, senza chi mi chiuda gli occhi alla mia morte, per andar dietro ad uno straniero, ad uno degli oppressori della libertà fiorentina!

— Babbo mio.... Guglielmo è buono....

— Dunque ho ben indovinato — disse Geri, alzandosi tutto in furia — Egli è da capo in Firenze; e per lui tu eri così smemorata là in piazza S. Croce. Sciagurata! così ami tuo padre? Amareggiandogli gli ultimi giorni della vita, e mostrandoti disubbidiente e ritrosa alla sua volontà! Povero vecchio! eccomi qui, oppresso dalla sventura, ridotto ora quasi alla miseria, con questa figliuola, che dovrebbe essere la mia consolazione e conforto, e che invece la sventura mi accresce a mille e mille doppj...

E chiudendosi il volto tra le palme, e scotendo desolatamente le testa, fremeva e piangeva ad un tempo.

La povera Bice, atterrita dalle dure parole del padre, e pietosissima dell'angoscia di lui, piangeva anch'essa amaramente, e chiedeva perdono.

— Perdono! — riprese il vecchio con voce più umana: — dunque sei pentita; dunque mi prometti di levare il cuore dal cavaliere straniero...

— Babbo mio buono, io ti amo sopra ogni cosa creata; io voglio essere sempre la tua buona Bice: voglio esser io la tua consolazione e il conforto della tua canizie e de' tuoi dolori.

— Dunque a Guglielmo non penserai più?

— Ma egli ama anche te, ed ha per te tanta riverenza... Se egli promettesse di non partirsi più mai da Firenze?...

Qui Geri fece un moto di violenta ira, e diede alla Bice una guardata così terribile che l'atterrì, tanto che singhiozzando esclamò:

— Dio mio, abbiate pietà di me! — Ed aggiunse con accento di disperazione: — Non posso disamare Guglielmo...

— Toglimiti dinanzi agli occhi, snaturata figliuola; e fa che più non ti vegga, se prima non sei pentita davvero...

E come la Bice faceva atto di voler dire:

— Va, sciagurata — le disse con cenno risoluto quel fiero vecchio — va, e vantati che farai morir di dolore tuo padre.

Quella povera fanciulla non ebbe cuor di rispondere, e uscì della stanza più morta che viva.

Cecco d'Ascoli: racconto storico del secolo XIV

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