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CAPITOLO III. L'OMAGGIO E L'AMORE.

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Il palagio del Podestà, chiamato poi del Bargello, non era condotto per anco all'ultima sua perfezione, dacchè non era ancora merlato; non era ancora stato messo in volta il tetto di sopra; non era costruita la maravigliosa scala del cortile; ma, con tutto ciò, era il più magnifico palazzo di tutta Firenze; e tanti erano stati i restauri e gli addobbi fatti per ricevere degnamente il novello signore, che sarebbe potuto servire di reggia a qualunque gran re: e il duca e la duchessa si mostrarono contentissimi di sì nobile residenza, che fecero anche più splendida con arredi proprj.

Il giorno seguente alla venuta de' principi, il gonfaloniere con tutti i priori, i capitani del popolo e i collegj, andarono a fare l'omaggio solenne al novello signore ed alla sua donna. La gran sala del palagio era mirabilmente ornata di pitture a fresco, e molta parte delle pareti coperta di nobilissimo corame messo a oro con bullettoni dorati: erano appiccati su in alto, e disposti in ben intesi gruppi, i gonfaloni del re Roberto, di parte guelfa, della repubblica fiorentina, della chiesa, dei sestieri e delle arti: panche, sedie ed altri mobili, il tutto di noce finissimamente intagliati, e ricoperti, quelli che il comportavano, di corame messo a oro, con bullettoni dorati: una edícola di gentil disegno e lavoro, con un'immagine della Vergine, opera di Giotto, era collocata nella parete di tramontana; nella parete di levante erano due nobili sedie sotto un baldacchino ricchissimo di sciámito rosso, seminato di gigli d'oro, e sormontato dalle armi della Chiesa e del re Roberto.

Introdotti il gonfaloniere, i priori e tutti gli altri, il duca e la duchessa, che erano seduti sotto a quello che potea dirsi trono reale, si alzarono, e si mostrarono benigni in atti e in parole: ambedue per altro avevano sulla faccia un certo non so che di altero e di soverchiante, che forte dispiacque ai Fiorentini; e quella stessa mostra di magnificenza, quell'essere attorniati com'erano di armati, e di tanti nobili cavalieri, teneva sospesi gli animi di molti, che si misero in apprensione per la libertà del comune. Il duca era assai giovane: scarso piuttosto della persona, sparuto nel volto e con rada barba; ma con due occhi così mobili, di così acuto sguardo e terribile, che davano segno, non solo della mobilità, ma anche di altra peggior qualità dell'animo suo. La duchessa al contrario era di persona ben formata, di gentile aspetto, se non quanto aveva del virile: vicina ai trent'anni, ma pur sempre bellissima, la sua beltà era rifiorita in modo maraviglioso dalle ricche ed elegantissime vesti.

La magnificenza di quell'addobbo, lo sfoggio di armi, di gioje, di vestimenti, così dei principi come de' tanti cavalieri che loro stavan d'attorno, faceva strano contrasto colle semplici vesti de' cittadini fiorentini, i quali rimasero sopraffatti da tanto splendore e da tanta magnificenza; per modo che il gonfaloniere durò fatica a spiccicare poche parole del complimento d'uso, alle quali il duca rispose quello che sogliono rispondere tutti i novelli signori, fermandosi sulle bellezze della città, sulla virtù dei cittadini, sulla buona volontà con cui vengono di rispettare usi e consuetudini, e di spendere vita ed averi per l'utilità del popolo e per il buono stato e per la libertà del comune, e ben presto diede loro commiato. Come il gonfaloniere fu vicino alla porta, gli si fe' presso Gualtieri di Brienne, duca d'Atene, e sotto voce gli disse:

— Il signore vuol conferire con voi per cose che importano al buono stato della terra; piacciavi di trattenervi un poco qui in palagio.

A che il gonfaloniere rispose che il farebbe, non senza essere contristato da funesto presentimento.

Dopo tal cerimonia, altra se ne preparava non tanto solenne, ma gentilissima se mai ne fu: sei fanciulle fiorentine, tutte de' grandi, venivano a presentar la duchessa di un canestro di fiori, ed a farle omaggio in nome delle matrone e donne fiorentine. Prima tra queste era la Bice dei Cavalcanti, una fanciulla di meravigliosa bellezza, oramai su' 24 anni, il cui volto era sempre dipinto di una certa mestizia, che non poteva esserci cuore umano il quale non si sentisse tratto ad amarla. A lei toccò di offrire a nome di tutte quel grazioso presente alla duchessa, e disse parole così gentili, così semplicemente garbate, e con voce così angelica, che Maria di Valois, risposto cortesi parole di ringraziamento, non potè fare che, voltasi a lei specialmente, non le dicesse:

— Gentile damigella, se Dio vi conceda ogni vostro piacere, che è quell'aria di mestizia che portate sul vostro bel volto? essa mal si conviene con la vostra bellezza, e con la letizia di questo giorno.

— Madama, le sventure della mia terra... La fresca perdite della mia diletta madre... — rispose Bice tutta smarrita; e non trovando altre parole da aggiungere.

— Ah, voi celate qualche cosa: siete bella, e non può fallire che abbiate gentil cuore; e sapete che il vostro Dante scrisse:

Amore a cor gentil ratto si apprende;

e così dicendo la prese caramente per mano. La fanciulla fece il viso come di fuoco, e tutta vergognosa chinò gli occhi a terra. In questo eccoti entrare nella sala Guglielmo d'Artese, un leggiadro e nobile cavaliere, biondo, di gentile aspetto, e di maniere e portamento dignitoso, se altri ne fu, che recava alla duchessa un foglio da parte di suo marito. Come prima egli fu dinanzi alla duchessa, e in un bacile d'argento le presentava il foglio, gittò gli occhi sulla fanciulla, che tuttora era tenuta per mano da lei, e che, senza accorgersi, si voltò anch'essa verso di lui: e non prima i loro sguardi si furono incontrati, Guglielmo si senti il cuore come passar da una lancia, e non potè governare tanto sè stesso che non esclamasse: Bice! La fanciulla si coperse di un pallore simile a quel della morte, e rimase immota come una statua, se non quanto si vedeva un moto convulso delle labbra, e pioverle dal volto abbondantissime lagrime.

Come rimanesse la duchessa è facile indovinarlo, nè qui lo dichiaro: con cenno severissimo intimò a Guglielmo di uscire; e lasciata la Bice a cura delle sue damigelle, si ritirò stizzosamente nelle sue stanze.

Cecco d'Ascoli: racconto storico del secolo XIV

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