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CAPITOLO IV. IL DUCA E IL GONFALONIERE.

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In un'altra sala del palagio seguiva intanto altra scena. Il gonfaloniere di Firenze era già a stretto ragionamento col duca, il quale stava seduto sopra sedia magnifica, accanto ad un tavolino, su cui era il suo elmo e la sua spada; e senza preambolo incominciò:

— Messer lo gonfaloniere, questa nobile terra è malata forte dentro di sè, e minacciata di peggio da' nemici di fuori. Bisogna provvedere.

— Valorosissimo signore, e per questo appunto il Comune di Firenze è ricorso alla vostra virtù e alla vostra potenza.

— Virtù e potenza! Ma queste sono poco efficaci là dove non sieno secondate, e non possano liberamente operare. La potenza di Castruccio è più grande che mai, dopo la dolorosa rotta dell'Altopascio; e la parte Ghibellina se ne è rialzata maravigliosamente; nè a combatterlo bastano le genti che abbiamo. Bisogna mandar tosto per le amistà, e raccogliere il meno 800 cavalli, e far senza indugio la cerna del contado.

— Monsignore, come può il Comune sopportare tanta spesa? Come si possono trapassare i patti...

— I patti? — esclamò il duca accerito, e stendendo la mano alla spada, che era sul tavolino, come per brandirla: — i patti sono che io provveda al buono stato di questa terra; ed io debbo volere, e voglio, tutte quelle cose che a ciò conducono più speditamente. Si ricordi la vostra magnificenza, che io son figliuolo di re, e signore di Firenze.

A queste superbe parole il gonfaloniere non ebbe cuor di rispondere. E il duca, più baldanzoso:

— Quando un Comune è ridotto a tali estremi, una volontà sola è necessario che governi il tutto; ed a voi Fiorentini, coi vostri modi di squittinj, con tanti ufficj così strani e diversi, in opera di guerra e di ricomporre lo stato, non è possibile far cosa che sia buona.

— Monsignore, disse timidamente il gonfaloniere, rompere gli ordini del Comune, questo non si può fare.

— Tutto si può fare, chi voglia. Ma io non vo' rompere ordini nè altro: bisogna solo che la somma del potere sia tutta in mia mano: bisogna che i priori si facciano a mia volontà; e simile ogni signoría, e ufficj, e guardia di castella, così in città, come in contado; che a mia volontà possa fare pace e guerra; rimettere sbanditi e ribelli, ed ogni altra cosa fare, che a me paja utile a quello perchè sono stato chiamato qua.

— Questo è molto, signore, e dubito forte se il Comune voglia farlo.

Voglia! C'è per avventura chi abbia balía di dir questo motto, dove io son signore? Messere, pensateci bene: adunate signoría, capitani del popolo, capitani di parte guelfa, collegj; adunate chi volete: a me basta che l'effetto sia quello da me voluto. Anzi darò la cura a monsignor Gualtieri di Brienne, di secondarvi quanto può in quest'opera che vi commetto, e che dee rassodare la libertà e il buono stato di questa nobile e a me cara terra, e ristorare in qualche modo la dolorosa rotta dell'Altopascio.

E fatto venire a sè il duca d'Atene:

— Mio bel cugino, gli disse, strizzando un poco l'occhio e accennando lievemente col capo, farete che siano in arme i vostri cavalli, e seconderete con tutte le vostre forze il magnifico gonfaloniere in quello che vi richiederà.

Qui il gonfaloniere fece atto di voler parlare; ma Carlo gli tagliò le parole in bocca, dandogli cortese commiato in questa forma:

— A Dio v'accomando, messere: gravi cure mi vietano il poter più lungamente ascoltare i vostri savj ragionamenti. Spero farete in modo ch'io possa tenervi sempre per carissimo padre e per amico leale.

Quel venerando uomo fece profonda riverenza, e amaramente accorato, uscì dalla sala.

Gualtieri sapeva già il disegno del duca; e come prima furono rimasti soli, domandò:

— Signore, trovaste voi molto ritroso il gonfaloniere?

— Questi mercanti fiorentini, rispose il duca, restano facilmente abbagliati dalla maestà regale. Non trovò modo di rispondere. Ora bisogna senza indugio dar forma alla cosa, e a te ne commetto la cura; fa che la signoría mi sia confermata per 10 anni, e che i 200 mila fiorini si portino a 400,000.

— I grandi e i potenti sono per noi: ed io farò il rimanente.

— Parmi più savio consiglio tenere col popolo: esso mi diede la signoría, esso me la confermi; e tu lusingalo quanto più puoi. Tieni per altro bene edificati anche i grandi: insomma usa tutte le arti, purchè il voler mio si faccia; e dove queste non giovino, non rifuggir dalla forza, e corri la terra per mia.

— Riposate sulla mia fede. — E dette queste parole, Gualtieri, chiesto ed ottenuto commiato, partì.

Non era passato molto tempo che i Fiorentini avevano fatto in tutto e per tutto la volontà del duca, tanto erano oppressi i loro animi, un poco dalle patite sciagure, e un poco dalla paura delle forze del duca d'Atene. Anzi andossi anche più in là; i grandi e i potenti si erano radunati insieme per dare a Carlo la signoría libera e senza termine; non mica per amore o per fede che avessero a lui, nè che a loro piacesse tal signoría, ma solo per disfare il popolo e gli ordini di giustizia. E la cosa avrebbe avuto effetto, se al duca non fosse piaciuto di tenersi piuttosto col popolo che altrimenti.

Cecco d'Ascoli: racconto storico del secolo XIV

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