Читать книгу Le Laude secondo la stampa fiorentina del 1490 - Jacopone da Todi - Страница 26
XXIV
Como la vita de l’omo è penosa
ОглавлениеO vita penosa, continua battaglia,
con quanta travaglia—la vita è menata!
Mentre sí stette en ventre a mia mate,
presi l’arrate—a deverme morire;
como ce stette en quelle contrate
chiuse, serrate,—nol so reverire;
venni a l’uscire—con molto dolore
e molto tristore—en mia comitata.
Venni renchiuso en un saccarello
e quel fo el mantello—co venni adobato:
operto lo sacco, co stava chello
assai miserello—e tutto bruttato,
da me è comenzato—uno novo pianto;
esto ’l primo canto—en questa mia entrata.
Venne cordoglio a quella gente
che stava presente;—sí me pigliâro;
mia mate stava assai malamente
del parto del ventre—che fo molto amaro.
Sí me lavâro—e dierme panceglie,
coprireme quigli—con nova fasciata.
Oimè dolente, a que so venuto,
ché senza aiuto—non posso scampare!
A chi me serve sí do el mal tributo,
com’è convenuto—a tale operare;
sempre a bruttare—me e mie veste
e queste meneste—donai en alevata.
Se mamma arvenisse che racontasse
le pene che trasse—en mio nutrire!
la notte ha bisogno che si rizasse
e me lattasse—con frigo suffrire
staendo a servire;—ed io pur plangea;
anvito non avea—de mia lamentata.
Ella, pensando ch’io male avesse,
che non me moresse—tutta tremava;
era besogno che lume accendesse
e me scopresse,—e poi me mirava
e non trovava—nulla sembianza
de mia lamentanza—perché fosse stata.
O mamma mia, ecco le scorte
che en una notte—hai guadagnato!
portar nove mesi ventrata sí forte
con molte bistorte—e gran dolorato,
parto penato—e pena en nutrire;
el meritire—male n’èi pagata.
Poi venne el tempo mio pate è mosto,
a leger m’ha posto—ch’emprenda scrittura;
se non emprenda quel ch’era emposto,
davame ’l costo—de gran battetura;
con quanta paura—loco ce stetti,
sirían longhi detti—a farne contata.
Vedea li garzoni girse iocando,
ed io lamentando—che non podea fare;
se non gía a la scola, gíame frustando
e svincigliando—con mio lamentare;
stava a pensare—mio pate moresse,
ch’io piú non staesse—a questa brigata.
Tante le meschie ch’io entanno facea,
ca pigliaría—le molte entestate;
non ne gía a Lucca che cagno n’avea;
capigli daea—e tollea guanciate;
e spesse fiate—era strascinato
e calpistato—com’uva entinata.
Passato el tempo, empresi a giocare,
con gente usare—e far grande spese;
mio pate stava a dolorare
e non pagare—le mie male emprese;
le spese commesse—stregnéme a furare,
lo biado sprecare—en mala menata.
Poi che fui preso a far cortesía,
la malsanía—sí non è pegiore;
l’auro e l’argento che è en Suría
non empiería—la briga d’onore:
moriva a dolore—che non potea fare;
el vergognare—non gía en fallata.
Non ce bastava niente el podere
a recoprire—le brighe presente;
asti e paraggi, calzare e vestire,
mangiare e bere—e star fra la gente;
render presente—parente ed amice
fuor tal radice—che l’arca on voitata.
Se era constretto a far vendecanza
per soperchianza—ch’avesse patuta,
pagar lo bando non era en usanza
e la briganza—non c’era partuta;
la mente smarruta—crepava a dolore,
che ’l descionore—non era vengnata.
Se l’avea fatta, gíamene armato,
empaurato—del doppio aravere;
e stavamo en casa empregionato
e paventato—nel gire e venire;
chi el porría dire—quant’è la pena
che l’odio mena—per ria comenzata!
Volea moglie bella che fosse sana
e non fosse vana—per mio piacere;
con grande dota, gentile e piana,
de gente non strana—con lengua a garrire;
compíto desire—non è sotto ’l cielo
e l’om como scelo—che qui l’ha cercata.
Se non avea figli, era dolente,
ché ’l mio a mia gente—volea lassare;
avendo figli, non gli ho sí piacente
che la mia mente—ne sia en consolare;
or ecco lo stare—c’ha l’om en sto mondo,
d’omne ben mondo—per gente acecata.
Recolto el biado e vendegnato,
arò semenato—per tempo futuro;
mai non se compie questo mercato,
sí continuato—conti en questo muro;
lo tempo a Dio furo—ed hogli sotratto
e rotto gli è ’l patto—de sua comandata.
Battaglia continua del manecare,
pranzo, cenare—e mai non ha posa;
se non è aparechiato co a me pare,
scandalizare—sí fa la sua osa;
o vita penosa—ove m’hai menato
cusí tribulato—continua giornata!
Mai non se giogne la gola mia brutta;
sapor de condutta—sí vol per usanza,
viva exquisita e nuove frutta,
e questa lutta—non ha mai finanza;
o tribulanza,—ov’è ’l tuo finare,
la ponga voitare—e l’anema en pecata!
La pena grande che è de le freve,
che non vengon leve,—ma molto penose,
e non se parton per leger de breve;
li medici greve—pagarse de cose,
siroppi de rose—ed altri vaseglie;
denar piú che griglie—ce vono a la fiata.
A quanti mali è l’om sottoposto,
non porría om tosto—per risme contare;
glie medici el sanno, che contano el costo,
che scrivon lo ’ncostro—e fonse pagare;
abreviare—sí n’opo esto fatto
che compiam ratto—la nostra dittata.
Ecco lo verno che viene piovuso,
diventa lotuso—e rio gir d’entorno;
venti, freddura e neve per uso
a l’omo è noioso—per far suo sogiorno;
non è nel monno—tempo che piaccia
e questa traccia—non è mai finita.
Ecco la state che vien con gran calde,
angustie grande—con vita penosa:
de giorno le mosche d’entorno spavalde,
mordendone valde,—che non ne don posa;
passa sta cosa—ed entra la notte:
le pulce son scorte—a dar lor beccata.
Stanco lo giorno gíame a letto,
pensava l’affetto—nel letto posare;
ecco i pensieri, lá ov’era retto,
aveanme constretto—a non dormentare;
or al pensare,—volvendome entorno,
tollendome el sonno,—per molte fiata.
Fatto lo giorno, ed io arcomenzava;
qual piú m’encalzava,—quella prendea;
non venía fatta como pensava,
adolorava—che nolla compía;
el dí se ne gía—ed ecco la notte
a darme le scorte—com’el’era usata.
Compíta l’una, ed eccote l’altra;
e questa falta—non pote fugire;
molte embrigate enseme m’ensalta,
pegio che malta—è ’l mio sufferire;
o falso desire, ed o’ m’hai menato,
ché sí tribulato—passo mia stata?
Cusí tribulato vengo a vecchieza,
perdo belleza—ed omne potere;
devento brutto, perdendo netteza,
grande splaceza—dá el mio vedere,
ed opo m’è gire—per forza a la morte
a prender le scorte—che dá en sua pagata.
O vita fallace do’ m’hai menato
e co m’hai pagato—che t’aio servito?
Haime condutto ch’io sia sotterrato
e manecato—dai vermi a menuto;
or ecco el tributo—che dái en tuo servire
e non pò fallire—a gente ch’è nata.
O omo, or te pensa che è altra vita,
la qual è enfinita—do’ n’opo andare;
e socce doi lochi lá ’v’è nostra gita:
l’una compíta—de pien delettare,
l’altra en penare—piena de dolore,
o’ so gli peccatore—con l’anema dannata.
Se qui non lasse l’amor del peccato,
serai sotterrato—en quel foco ardente;
se qui tu lassi e senne mendato,
serai translato—con la santa gente;
ergo presente—facciam correttura,
ché en affrantura—non sia nostra andata.