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L’idea di aprire un’accademia

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Un punto su cui tornava continuamente riguardava il messaggio di Dio per cui le attività apostoliche dell’Opera dovevano avere un carattere laico. Non era una cosa semplice. Come dice Vázquez de Prada, «a quel tempo, negli anni trenta, le opere apostoliche erano create o promosse dalla Gerarchia ecclesiastica, o da Ordini o Istituti religiosi, e il loro apostolato risultava un’attività regolata dall’alto o dall’esterno dell’ingranaggio sociale. Inoltre, nella maggior parte dei casi, la direzione di questi apostolati non era nelle mani dei laici»[154]. Invece gli apostolati dell’Opera sarebbero stati presenti nella società per quello che erano: iniziative promosse da cittadini comuni. In tal senso, nel dicembre del 1930 scriveva: «Da tempo mi arrovellavo, senza capire come inquadrare praticamente l’Opera di Dio, perché appaia chiaramente come associazione di laici»[155]. Per il momento arrivò a una soluzione, «evitando la confusione tra lo spirituale e le imprese materiali»[156]: una cosa era la trasmissione del messaggio dell’Opus Dei, che provvisoriamente chiamò “Lega spirituale”; altra cosa, invece, le attività apostoliche, le “imprese di apostolato” come le chiamava, che avrebbero promosso i membri dell’Opera, responsabili di fronte alla società civile[157].

Un passo definitivo verso la prima “impresa di apostolato” fu dato tra l’estate e l’autunno del 1932. Tra i modi pratici ai quali pensava per organizzare l’apostolato dell’Opera, José María Escrivá valutò la possibilità di creare un’associazione di universitari; in questi termini ne parlò a Julián Cortés−Cavanillas e ad altri conoscenti[158]. Inoltre, il 30 giugno, mentre celebrava il Sacrificio eucaristico, gli venne in mente che avrebbe potuto costituire una Fraternità o Pia Unione per gli studenti[159]. Avrebbe poi affidato il lavoro con i giovani alla Vergine Maria sotto l’invocazione di Nostra Signora della Speranza[160]. La forma associativa avrebbe favorito l’aumento del numero di universitari che si sarebbero avvicinati all’Opera e il pieno svolgimento «della formazione spirituale dei suoi membri (vita interiore), dell’apostolato di catechesi dei bambini, le conferenze, “le propagande”, le attività a favore delle missioni degli infedeli, ecc.»[161]. Escrivá disegnava così alcuni tratti del futuro apostolato con la gioventù, cioè la formazione nelle verità di fede cristiana e l’esercizio della carità mediante la catechesi e altre attività.

Se l’aspetto spirituale e formativo di questo apostolato risultava abbastanza chiaro, quello giuridico non lo era affatto. Era innegabile il bisogno di disporre di «un tetto che proteggesse legalmente le sue attività apostoliche e formative»[162], ma non riusciva a individuare la forma che avrebbe assunto. Il 7 luglio parlò con Sánchez Ruiz e Postius sull’opportunità di creare un’associazione cattolica di universitari. Dopo questi colloqui, i pezzi del rompicapo non combaciavano; perciò pregò di nuovo Dio e cercò altri modi con cui organizzare il suo apostolato con la gioventù[163].

Il 7 agosto ebbe un nuovo scambio di idee con Juan Postius. Il claretiano lo informò dei difficili rapporti che si erano venuti a creare tra i claretiani e le autorità civili nei ultimi mesi: «Sono stato con il p. Postius per trattare intorno la P.U. di n. Sra. [Pia Unione di Nostra Signora] della Speranza. Mi ha consigliato di prescindere dall’intervento ecclesiastico e di dare all’associazione un carattere culturale, senza parlare nel regolamento di nessun aspetto religioso, altrimenti il Governo Civile non l’avrebbe approvato, com’è avvenuto recentemente a loro con un’altra associazione che volevano creare»[164]. Escrivá prese in considerazione le parole di Postius. Chi voleva formare una associazione, anche ecclesiastica, doveva presentare una istanza al Ministero degli Interni richiedendo la corrispondente autorizzazione, ma correva il rischio di vedersela negare. Pensò allora che sarebbe stato più opportuno puntare su un ente culturale da registrare civilmente e diretto da laici[165]. «Un’associazione di carattere culturale avrebbe consentito loro di riunirsi per ricevere le lezioni di formazione senza il pericolo di trovarsi fuori legge ogni volta che veniva sospeso il diritto di riunione dei cittadini»[166].

A metà settembre, e per incarico di José María Escrivá, Lino Vea−Murguía incontrò a Santander un cappuccino chiamato Laureano Martinez de Muñecas; nel corso di quell’anno Escrivá aveva già scritto a Martínez de Muñecas per chiedere informazioni sull’organizzazione delle congregazioni del padre Honorato Kozminski[167]. Anche se non si aspettava concreti risultati da questa conversazione, voleva informazioni sulle soluzioni giuridiche adottate. Il 28 settembre riassumeva il suo pensiero su questo aspetto: «Non so se il p. Laureano porterà una soluzione pratica per presentare l’O. [Opera] all’autorità ecclesiastica e all’autorità civile. [...] I soci e le associate dovranno formare società culturali»[168].

Lunedì 29 settembre José María Escrivá parlò con l’amico Pedro Poveda; ne uscì confermato sulla evoluzione del suo pensiero. Metteva definitivamente da parte l’idea di formare un’associazione di studenti. Sarebbe bastato disporre di uno strumento materiale, una sede, per riunirsi. E questo luogo avrebbe avuto un carattere civile e professionale. In tale contesto nacque l’idea di aprire un’accademia di insegnamento privato: «Oggi sono stato da p. Poveda. Consiglia di non fare un’associazione di giovani. Di lavorare senza un’associazione: aprendo un’accademia, per esempio. È quello che pensavo io»[169].

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