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I preparativi per l’Opera di San Raffaele

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Finché non si trovò un luogo adatto per l’accademia, fu necessario accontentarsi di altro. Le soluzioni degli anni precedenti erano risultate insoddisfacenti. Don José María incontrava i ragazzi in un bar o per strada; con i sacerdoti, in casa di Norberto Rodríguez; con le donne, poi, non aveva neppure un luogo dove riunirle, per cui doveva accontentarsi di una conversazione personale nel confessionale di Santa Isabel o, nel caso delle malate, in ospedale.

In dicembre si presentò una soluzione provvisoria. Da quando in maggio (1931) si era trasferito con la famiglia in un appartamento di calle Viriato, a causa degli “incendi dei conventi”, José María Escrivá non vedeva l’ora di lasciarlo perchè i locali erano troppo angusti e non ci si trovava bene. Inoltre, era di proprietà delle Dame Apostoliche e, dall’estate 1931, Escrivá lavorava a Santa Isabel. Pregando e cercando offerte accessibili, trovò una casa al numero 4 di calle Martínez Campos, che da poco aveva preso il nome di calle Francisco Giner, anche se tutti continuavano a chiamarla col nome di prima. José María Escrivá firmò il contratto di affitto il 10 dicembre 1932. Malgrado non fosse caro —115 pesetas mensili—, risultava impegnativo, data la situazione economica. Prima, il 2 dicembre, aveva riconosciuto negli Apuntes íntimos: «Mi trovo —più che mai— senza un centesimo. La nostra povertà (mia gran signora, la povertà) è identica, da alcuni anni, a quella di quanti chiedono l’elemosina per strada»[184]. Perciò fu costretto a chiedere un prestito alla “Corporación Española de Crédito y Finanzas”. Era convinto che valeva la pena assumere questo impegno, perché migliorava le condizioni della sua famiglia e rendeva possibile ricevere visite a casa sua.

Le fonti di sostentamento restavano le stesse dell’anno precedente: fondamentalmente, le retribuzioni per le Messe celebrate a Santa Isabel e le lezioni private di legge. Non erano cambiate neppure le attività che svolgeva, sia quelle remunerate che le volontarie. In primo luogo c’erano i doveri contratti con il convento delle agostiniane del Patronato di Santa Isabel, ai quali aggiungeva le confessioni e alcune meditazioni alle bambine della Scuola dell’Assunzione[185]. Poi, le ricerche per il suo dottorato. E ancora, le visite ai malati negli ospedali; si recava regolarmente all’Ospedale Generale, all’Ospedale Nazionale delle Malattie Infettive e, in modo più sporadico, all’Ospedale de la Princesa e all’Ospedale del Niño Jesús. D’altra parte, e a richiesta del suo amico Pedro Poveda, qualche volta confessava e celebrava la Messa nella residenza femminile dell’Istituzione Teresiana in calle Alameda, e anche nell’Istituto Cattolico Femminile in calle Núñez de Balboa; inoltre, confessava le teresiane nella casa per convalescenti che l’Istituzione gestiva nella Ciudad Lineal, nell’hinterland nord−est di Madrid[186].

In quel periodo José María Escrivá pensava ad un modo efficace per diffondere dottrina, attingendo agli scritti che contenevano le mozioni ricevute da Dio, agli appunti presi dal Breviario, ai libri di spiritualità e alle sue meditazioni sulla Scrittura[187]. Nell’agosto del 1931 aveva annotato che voleva «scrivere dei libri di fuoco e farli correre per il mondo come una fiamma viva che dia luce e calore agli uomini, e di trasformare tanti poveri cuori in braci ardenti per offrirli a Gesù come rubini della sua corona di Re»[188]. Ai primi di dicembre di quell’anno scrisse d’un fiato un piccolo manoscritto che intitolò Santo Rosario[189]; lo scritto voleva facilitare la contemplazione della vita di Cristo seguendo i misteri del Rosario della Vergine Maria. Pochi giorni dopo lo lesse a José Muñoz Aycuéns e a un amico. Passato il Natale, nel gennaio o febbraio del 1932, copiò a macchina e poi stampò al ciclostile Santo Rosario —dieci cartelle su due facciate e graffate— con una tiratura che non superava le cento copie[190].

Passata l’estate, mise insieme duecento quarantasei frasi e massime spirituali, quasi tutte ricavate dagli Apuntes íntimos, e in dicembre le stampò con il titolo di Consideraciones espirituales[191]. Questo testo, un fascicolo di sedici fogli, aveva lo scopo, come il precedente, di stimolare il dialogo personale con Dio[192].

Spesso prestava guide e schemi in cui riuniva alcune idee sulla vita cristiana oppure lui stesso commentava le annotazioni degli Apuntes íntimos. La sua fede ottimista traspirava in quelle idee magnanime, che sollecitavano il miglioramento della vita cristiana. Per esempio, in uno scritto inviato a Pedro Cantero nel febbraio del 1932 affermava: «Gesù ci esorta: vuole che lo si innalzi di nuovo, non sulla Croce, ma nella gloria di tutte le attività umane, per attrarre a sé tutte le cose (Joann. XII, 32). E assicura in questo momento che l’O. di D. [Opera di Dio] starà con Lui in ogni luogo, consolidando il regno di Gesù Cristo per sempre (Et fui tecum in omnibus ubicumque ambulasti, firmans regnum tuum in aeternum). Si incontreranno ostacoli che potranno sembrare insormontabili... ma “inter medium montium pertransibunt aquae”, li supereremo! L’ostacolo più insormontabile siamo noi, ma forse Gesù non ha saputo fare di un asino! il suo trono di Re? (Marc. XI, 2 e 7)»[193].

Tuttavia era difficile trovare persone capaci di identificarsi con lo spirito dell’Opera. Molti lo avvicinavano e gli chiedevano di ricevere la direzione spirituale; ma erano pure numerosi, e a volte per motivi inspiegabili, quelli che scomparivano. L’evento più doloroso, naturalmente fu la morte di José María Somoano, che aveva compreso l’Opera e poteva divenire un sostegno. Però il fondatore soffriva anche quando qualcuno non si decideva a seguire Dio pienamente o perché abitava fuori Madrid, come Pepe Romeo, che passava un lungo periodo di riposo a Pau, o Isidoro Zorzano, che stava a Malaga. Si trovava in questa situazione, quando il 5 novembre morì Luis Gordon per una polmonite che si trascinava dall’estate. Il giorno dopo, mosso dal dolore di questa separazione, rifletteva: «La Croce, La Santa Croce pesa sull’Opera di Dio. Da una parte, i miei peccati. Dall’altra, due che se ne vanno dalla terra, un altro lontano, un altro ancora più lontano (benché non materialmente), altri con malattie e afflizioni..., e altri che hanno un “volere senza volere” ...»[194].

Cercò così di mettersi in contatto con un giovane che aveva conosciuto qualche mese prima. Si chiamava Juan Jiménez Vargas, aveva ventinove anni e frequentava il quinto anno di Medicina all’Università Centrale di Madrid[195]. Il suo miglior amico era Adolfo Gómez Ruiz. Malgrado la differenza di età —Adolfo aveva quattro anni di più—, li univano gli stessi studi, le stesse idee politiche e gli stessi colleghi. Un giorno, agli inizi del 1932, Juan accompagnò Adolfo a casa di Norberto Rodríguez. Arrivando, salutarono José María Escrivá, che si trovava nell’appartamento. Quella volta Juan e don José María si scambiarono solamente qualche parola di saluto; ma da quel momento le cose, per il giovane studente, avrebbero preso una piega impensata.

Ricorda lo stesso Jiménez Vargas: «alla fine di novembre o ai primi di dicembre del 32 la madre di Adolfo mi avvisò che D. José Mª voleva parlarmi. Io non potevo neppure immaginare il perché, però questo avviso mi provocò un gran piacere, perché da qualche tempo, in seguito a quello che avevo letto in alcuni libri di spiritualità, sentivo la necessità di un direttore spirituale e lo chiedevo ogni giorno nella comunione e ho pensato che il Signore me lo aveva concesso»[196]. Juan andò a trovarlo con un amico, probabilmente José María Valentín[197]. Nella conversazione «D. José Mª ci disse come pensava di organizzare il catechismo e le riunioni a Porta Coeli, e mi fece capire che voleva parlare con me da solo»[198]. Infatti s’incontrarono di nuovo, questa volta da soli, il pomeriggio di Natale. Juan avvertiva profonde inquietudini personali: si era proposto la rinuncia al matrimonio, ma non riconosceva di avere una vocazione religiosa o sacerdotale. Conversarono a lungo e, alla fine, e per suggerimento di Escrivá, Vargas pregò per nove giorni lo Spirito Santo, chiedendo luci a Dio. Quando finì la novena, chiese al fondatore di far parte dell’Opera. Era il 4 gennaio 1933.

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