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XVIII
Como l’omo è acecato dal mondo

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Omo, tu se’ engannato,—ché questo mondo t’ha cecato.

Cecato t’ha questo mondo—coi delette e col sogiorno

e col vestimento adorno—e con essere laudato.

Li deletti c’hai avuti,—mo que n’hai? sonsene giuti;

en vanetá sí t’hai perduti—e fatto ci hai molto peccato.

Ed unqua non vol pentire—finché vieni a lo morire;

da che sai non puoi guarire,—dice pro ’l prete sia mandato.

Lo prete dice:—Figlio mio,—como sta lo fatto tio?—

e tu dice:—Sere, ch’io—so de mal molto gravato.—

Sí t’affligon li figlioli—ché gli lassi po’ te soli;

piú de lor che de te doli,—ché ’l fatto lor lassi embrigato.

Quel dolor t’afflige tanto,—quando i figli piangon en alto,

che ’l fatto tuo lassi da canto—de render el mal aquistato.

Poi che veni a lo morire,—li parenti fon venire;

non ti lassan ben uscire,—fuor de casa t’on gettato.

Fin a santo von gridanno—e dicendo:—Or ecco danno!—

Torna a casa, briga entanno—che ’l manecar sia ’parechiato.

Poi che s’onno satollati,—del tuo fatto s’on scordati;

dei denar c’hai guadagnati—non hai teco alcun portato.

O tapino, a cui aduni?—ad arriccar li toi garzuni?

da ch’èi morto, i gran boccuni—se fon del tuo guadagnato.

Le Laude secondo la stampa fiorentina del 1490

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