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I


De la beata Vergine Maria e del Peccatore

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—O Regina cortese,—io so a voi venuto

ch’al mio cor feruto—deiate medecare.

Io so a voi venuto—com’omo desperato

da omn’altro aiuto;—lo vostro m’è lassato;

se ne fusse privato,—faríeme consumare.

Lo mio cor è feruto,—Madonna, nol so dire;

ed a tal è venuto,—che comenza putire;

non deiate soffrire—de volerm’aiutare.

Donna, la sofferenza—sí m’è pericolosa;

lo mal pres’ha potenza,—la natura è dogliosa;

siate cordogliosa—de volerme sanare.

Non aio pagamento,—tanto so anichilato;

faite de me stromento,—servo recomperato;

donna, el prez’è dato:—quel ch’avest’a lattare.

Donna, per quel amore—che m’ha avut’el tuo figlio

dever’aver en core—de darm’el tuo consiglio;

succurrime, aulente giglio,—veni e non tardare.

—Figlio, poi ch’èi venuto,—molto sí m’è ’n piacere;

adomandimi aiuto,—dollote voluntere;

ètte oporto soffrire—co per arte voglio fare.

Medecaro per arte—emprima fa la diita;

guarda li sensi da parte—che non dien piú ferita

a la natura perita—che se possa aggravare.

E piglia l’oximello,—lo temor del morire;

ancora si fancello,—cetto ce de’ venire;

vanetá lassa gire,—non pò teco regnare.

E piglia decozione—lo temor de lo ’nferno;

pens’en quella prescione—non escon en sempiterno;

la piaga girá rompenno—farallate revontare.

Denante al preite mio—questo venen revonta,

ché l’officio è sio;—Dio lo peccato sconta;

ca se ’l Nemico s’aponta,—non aia que mostrare.

II


De la beata Vergine Maria

Indice

O Vergine piú che femina—santa Maria beata.

Piú che femina, dico;—onom nasce nemico;

per la Scrittura splico,—nant’èi santa che nata.

Stando en ventre chiusa,—puoi l’alma ce fo enfusa,

potenza virtuusa—sí t’ha santificata.

La divina onzione—sí te santificòne,

d’omne contagione—remaneste illibata.

L’original peccato—ch’Adam ha semenato,

omn’om con quello è nato:—tu se’ da quel mondata.

Nullo peccato mortale—en tuo voler non sale,

e da lo veniale—tu sola emmaculata.

Secondo questa rima—tu se’ la vergen prima,

sopre l’altre soblima;—tu l’hai emprima votata

la tua vergenetate—sopr’omne umanetate

ch’en tanta puritate—mai fosse conservata.

L’umilitá profonda—che nel tuo cor abonda,

lo cielo se sprofonda—d’esserne salutata.

Virgineo proposito—en sacramento ascondito,

marito piglia incognito—che non fosse enfamata.

L’alto messo onorato—da ciel te fo mandato;

lo cor fu paventato—de la sua annunziata:

—Conceperai tu figlio,—será senza simiglio,

se tu assenti al consiglio—de questa mia ambasciata.—

O Vergen, non tardare—al suo detto assentare;

la gente sta chiamare—che per te sia aiutata.

Aiutane, Madonna,—ca ’l mondo se sperfonna

se tarde la responna—che non sia avivacciata.

Puoi che consentisti,—lo figliol concepisti,

Cristo amoroso desti—a la gente dannata.

Lo mondo n’è stupito—conceper per audito,

lo corpo star polito—a non essere toccata.

Sopr’omne uso e ragione—aver concezione,

senza corruzione—femena gravedata.

Sopre ragione ed arte—senza sementa latte,

tu sola n’hai le carte—e sènne fecundata.

O pregna senza semina,—non fu mai fatt’en femina,

tu sola sine crimina,—null’altra n’è trovata.

Lo verbo creans omnia—vestito è ’n te Virginia,

non lassando sua solia,—divinitá encarnata.

Maria porta Dio omo,—ciascun serva ’l suo como;

portando sí gran somo—e non essere gravata.

O parto enaudito,—lo figliol partorito

entro del ventre uscito—de matre segellata!

A non romper sogello—nato lo figliol bello,

lassando lo suo castello—con la porta serrata!

Non siría convegnenza—la divina potenza

facesse violenza—en sua cas’albergata.

O Maria, co facivi—quando tu lo vidivi?

or co non te morivi—de l’amore afocata?

Co non te consumavi—quando tu lo guardavi,

ché Dio ce contemplavi—en quella carne velata?

Quand’esso te sugea,—l’amor co te facea,

la smesuranza sea—esser da te lattata?

Quand’esso te chiamava—e mate te vocava,

co non te consumava—mate di Dio vocata?

O Madonna, quigli atti—che tu avev’en quigl fatti,

quigl’enfocati tratti—la lengua m’han mozzata.

Quando ’l pensier me struge,—co fai quando te suge?

lo lacremar non fuge—d’amor che t’ha legata.

O cor salamandrato—de viver sí enfocato,

co non t’ha consumato—la piena enamorata?

Lo don della fortezza—t’ha data stabilezza

portar tanta dolcezza—ne l’anema enfocata!

L’umilitate sua—embastardío la tua,

ch’ogn’altra me par frua—se non la sua sguardata.

Ché tu salist’en gloria,—esso sces’en miseria;

or quigna conveneria—ha enseme sta vergata?

La sua umilitate—prender umanitate,

par superbietate—on’altra ch’è pensata.

Accurrite, accurrite,—gente; co non venite?

vita eterna vedite—con la fascia legata.

Venitel a pigliare,—ché non ne può mucciare,

che deggi arcomperare—la gente desperata.

III


Contenzione infra l’anima e corpo

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Le Laude secondo la stampa fiorentina del 1490

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