Читать книгу Le Laude secondo la stampa fiorentina del 1490 - Jacopone da Todi - Страница 4

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Audite una ’ntenzone—ch’è ’nfra l’anima e ’l corpo;

battaglia dura troppo—fin a lo consumare.

L’anima dice al corpo:—Facciamo penitenza,

ché possiamo fugire—quella grave sentenza

e guadagnar la gloria—ch’è de tanta piacenza;

portimo onne gravenza—con delettoso amare.—

Lo corpo dice:—Turbome—d’esto che t’odo dire;

nutrito so ’n delicii,—nollo porría patire;

lo celebr’aio debele,—porría tost’empazire:

fugi cotal pensiere,—mai non me ne parlare.

—Sozo, malvascio corpo,—lussurioso, engordo!

ad omne mia salute—sempre te trovo sordo;

sostieni lo flagello—d’esto nodoso cordo,

emprende sto discordo—ché t’è ci opo danzare!

—Succurrite, vicini,—ché l’anima m’ha morto!

alliso, ensanguenato,—disciplinato a torto!

o impia, crudele,—ed ad que m’hai redotto?

starò sempr’en corrotto,—non me porrò allegrare.

—Questa morte sí breve—non mi siría ’n talento.

Somme deliberata—de farte far spermento;

dagl cinque sensi tollere—omne delettamento,

e nullo piacemento—t’agio voglia de dare.

—Si da li sensi tollime—li mei delettamenti,

siragio enfiato e tristo,—pieno d’encrescementi;

torrotte la letizia—nelli tuoi pensamenti;

megli’è che mo te penti—che de farlo provare.

—La camiscia spògliate—e vesti sto cilizo;

la penetenza vètate—che non abbi delizo;

per guidardone dónote—questo nobel pannizo,

ché de coio scrofizo—te pensai d’amantare.

—Da lo ’nferno recastela—questa veste penosa;

tesseala ’l diavolo—de pili de spinosa;

omne pelo pareme—una vespa orgogliosa;

nulla ce trovo posa,—tanto dura me pare.

—Ecco lo letto; pòsate,—iace en esto gratizo!

lo capezal aguardace—ch’è un poco de paglizo:

lo mantellino cuoprite,—adusate col miccio;

questo te sia deliccio—a quel che te voglio fare!

—Guardate a letto morbedo—d’esta penna splumato!

pietre rotonde vegioce—che venner dal fossato;

da qual parte volgome,—rompome el costato;

tutto son conquassato,—non ce posso posare.

—Corpo, surge; lèvate!—ché suona matutino;

leva su, sonocchiate—en officio divino;

legge nuove emponote—perfine a lo maitino;

emprende esto camino—che sempre t’è opo fare.

—Como surgo, levomi,—che non aggio dormito?

Degestione guastase,—non aggio ancor padito;

scorsa m’è la regoma—per lo freddo c’ho sentito;

el tempo non è fugito,—lassame ancor posare!

—Ed o’ staisti a ’mprendere—tu questa medicina?

per la tua negligenza—dotte una disciplina;

si piú favelli, tollote—a pranzo la cocina;

ché questa tua malina—penso de medecare.

—Or ecco pranzo ornato—de delettoso pane

nero, azemo e duro—che nol rosecára ’l cane!

Non lo posso enghiuttire,—sí reo sapor me sane!

Altro cibo me dáne,—se me voli sostentare.

—Per lo parlar c’hai fatto,—tu lassarai el vino;

né a pranzo né a cena—non mangerai cocino;

se piú favelli, aspèttate—un grave disciplino;

questo prometto almino—non te porrá mucciare.

—Recordo d’una femena—ch’era bianca, vermiglia,

vestita, ornata, morbeda,—ch’era una maraviglia;

le sue belle fateze—lo pensier m’asutiglia;

molto sí me simiglia—de potergli parlare.

—Or attende ’l premio—de questo c’hai pensato;

lo mantello artollote—per tutto sto vernato;

le calzamenta lassale—per lo folle cuitato;

ed un disciplinato—fin a lo scorticare.

—L’acqua che bevo noceme,—caggio ’n etropesía;

lo vino, prego, rendeme—per la tua cortesía!

Se tu sano conserveme,—girò ritto per via;

se caggio ’n’enfermaría,—opo me t’è guardare.

—Poi che l’acqua nòcete—a la tua enfermentade

e lo vino noceme—a la mia castitade,

lassa lo vino e l’acqua—per la nostra sanetade;

sostien necessitate—per nostra vita servare.

—Prego che non m’occide!—nulla cosa demanno;

en veritá promettote—de non gir mormoranno;

lo entenzare veiome—che me retorna en danno;

che non caggia nel banno—vogliomene guardare.

—Se te vorrai guardare—da omne offendemento,

sirotte tratta a dare—lo tuo sostentamento;

e vorròme guardare—dal tuo encrescemento;

sirá delettamento—nostra vita salvare.

Or vedete ’l prelio—c’ha l’omo nel suo stato!

tante son l’altre prelia,—nulla cosa ho toccato;

che non faccian fastidio,—aggiol’abbreviato;

finisco sto trattato—en questo loco lassare.

Le Laude secondo la stampa fiorentina del 1490

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