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VIII
De l’ornamento delle donne dannoso

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O femene, guardate—a le mortal ferute;

nelle vostre vedute—el basalisco mostrate.

El basilisco serpente—occide om col vedere,

lo viso envenenato—sí fa el corpo morire;

pegio lo vostro aspetto—fa l’anime perire

da Cristo, dolce sire,—che care l’ha comparate.

Lo basilisco ascondese,—non se va demostrando;

non vedendo, iacese—e non fa ad alcun danno;

peggio che ’l basalisco—col vostro deportanno,

l’anime vulneranno—colle false sguardate.

Co non pensate, femene,—col vostro portamento

quant’anem’a sto secolo—mandate a perdimento?

solo col desiderio,—senz’altro toccamento,

pur che gli èi en talento,—a l’aneme macellate.

Non ve pensate, femene,—co gran preda tollite,

a Cristo, dolce amore,—mortal dáite ferite?

serve del diavolo,—sollecete i servite;

colle vostre schirmite—molt’anime i mandate.

Dice che acóncete,—ché piace al tuo signore;

ma lo pensier engannate,—ché nogl se’ en amore;

s’alcun stolto aguardate,—sospezion ha en core

che contra lo su onore—facce mali trattate.

Lagna poi e fèrite—e tiente en gelosia,

vuol saper li luocora—e quegn’hai compagnia;

porrate poi l’ensidie,—si t’ha sospetta e ria;

non giova dicería—che facce en tuoi scusate.

Or vede che fai, femena,—co te sai contrafare!

la tua persona piccola—co la sai dimostrare!

sotto li piede méttete—ch’una gigante pare,

puoi con lo strascinare—cuopre le suvarate.

Se è femena pallida,—secondo sua natura,

arosciase la misera—non so con que tentura;

se è bruna, embiancase—con far sua lavatura;

mostrando sua pentura,—molt’aneme ha dannate.

Mostrerá la misera—ch’aggia gran trecce avolte;

la sua testa adornase—co fossen trecce acolte

o de tomento fracedo—o’ so pecciòle molte,

cosí le gente stolte—da lor son engannate.

Per temporal avenesse—che l’om la veda sciolta

vedi che fa la demona—colla sua capovolta!

le trez’altrui componese—non so con que girvolta;

farattece una colta—che paion en capo nate.

Que fará la misera—per aver polito volto?

porrásece lo scortico—che ’l coio vecchio n’ha tolto;

remette ’l coio morbedo,—parrá citella molto;

sí engannan l’omo stolto—con lor falsificate.

Poi che a la femina—èglie la figlia nata,

co la natura formala,—pare una sturciata;

tanto lo naso tiraglie,—strengendo a la fiata,

che l’ha sí reparata—che porrá far brigate.

Son molte che per omene—non fon nullo aconciato;

delettanse fra l’altre—aver grand’apparato;

non ce pense, misera,—che per van delettato

lo cor s’è vulnerato—de molte enfermetate?

Non hai potenza, femina,—de poter preliare;

ciò che non puoi con mano,—la lengua lasse fare;

non hai lengua a centura—de saperle gettare

parole d’adolorare—che passan le corate.

Non giacerá a dormire—quella che hai ferita;

tal te dará percossa—che no ne sirai lita;

d’alcun te dará ’nfamia—che ne sirai schernita;

menarai poi tu vita—con molte tempestate.

Sospicará maritota—che non sie de lui prena;

tal glie verrá tristizia,—che gli secará omne vena;

acoglieratte en camora—che nol senta vicena;

qual ce trarai mena—de morte angustiata!

Le Laude secondo la stampa fiorentina del 1490

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