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VIII. Segue: le linee di tendenza delle riforme “a ciclo continuo”

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Dunque, incalzato dalle esigenze sempre più pressanti della finanza pubblica, agli inizi degli anni novanta del secolo scorso, il legislatore ha avviato un processo, non più differibile, di profonda risistemazione dell’ordinamento pensionistico, con l’obiettivo di contenere la crescita della spesa previdenziale, recuperare l’equilibrio finanziario, ed eliminare le situazioni di privilegio.

Per realizzare queste esigenze, si è resa necessaria una lunga serie di interventi, perché ciascuno di essi si è rivelato di per sé non sufficiente (ed anzi, come si dirà nel par. XI che segue, taluni di essi hanno perseguito obiettivi diversi ed “in controtendenza”).

La serie delle riforme ha preso avvio negli anni 1992-1993 (cfr. legge n. 421 del 1992; legge n. 438 del 1992; d.lgs. n. 503 del 1992; d.lgs. n. 373 del 1993) prevedendo, tra l’altro, una prima elevazione dei requisiti di età anagrafica e contributiva per conseguire il diritto a pensione.

Successivamente, la legge n. 335 del 1995 ha fissato l’obiettivo di stabilizzare il rapporto tra spesa pensionistica e prodotto interno lordo (PIL), soprattutto attraverso la adozione, sia pure con effetti molto dilatati nel tempo, del criterio di calcolo contributivo delle pensioni. Per effetto di tale criterio, l’importo della pensione è calcolato moltiplicando un coefficiente di trasformazione (che è determinato tenendo conto dell’attesa di vita del pensionato e dell’andamento del PIL) per il montante individuale contributivo (ossia l’insieme dei contributi versati nel corso dell’intero periodo lavorativo e poi rivalutati anche in base all’andamento del PIL).

Negli anni duemila, sotto la spinta pressante anche delle istituzioni comunitarie, si è reso necessario elevare ulteriormente i requisiti di età anagrafica e di anzianità contributiva richiesti per conseguire il diritto a pensione, introducendo anche la previsione di un automatico adeguamento di quei requisiti all’incremento dell’indice statistico della speranza di vita (cfr., in particolare, legge n. 243 del 2004, legge n. 247 del 2007, art. 22-ter della legge n. 102 del 2009, art. 12 della legge n. 122 del 2010, art. 24 della legge n. 214 del 2011)37.

Sotto il profilo dell’equità, è proseguito, inoltre, il processo di omogeneizzazione delle tutele, già avviato (cfr. d.lgs. n. 503 del 1992 e legge n. 335 del 1995), tra il regime generale gestito dall’INPS ed i diversi regimi speciali (esclusivi, sostitutivi ed anche integrativi) che ancor’oggi caratterizzano il nostro sistema previdenziale, soprattutto per quanto riguarda i livelli delle prestazioni ed i requisiti per il sorgere del diritto a pensione (cfr. art. 24, comma 18, legge n. 214 del 2011).

Infine, il legislatore ha disposto il passaggio definitivo al sistema di calcolo contributivo, estendendolo a tutti i lavoratori dal 1° gennaio 2012 (dunque, anche a quelli che, al 31 dicembre 1995, avevano già maturato 18 anni di contribuzione), sia pure sempre con l’applicazione del principio del pro-rata e, cioè, per la sola quota di pensione maturata da quel momento in poi (art. 24, comma 2, legge n. 214 del 2011).

Nel loro complesso, quindi, gli interventi degli ultimi anni hanno introdotto ulteriori elementi di razionalizzazione in linea con quelli già attuati nel corso degli anni novanta del secolo scorso, perseguendo il medesimo obiettivo di rendere compatibile il livello della spesa pensionistica con le esigenze di bilancio e di crescita economica del paese.

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