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I. Un quadro di sintesi

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Se in Europa l’esigenza di promuovere l’invecchiamento attivo della popolazione è chiaramente avvertita1, lo è particolarmente in Italia, che è tra i Paesi con un’età media più elevata nel mondo, e, di conseguenza, con il maggior numero di anziani2.

Tutto sommato, questa esigenza ha trovato coerente espressione nelle linee di fondo delle riforme pensionistiche che si sono succedute a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso. Riforme che, per garantire la stabilità del sistema, hanno previsto il graduale innalzamento dell’età richiesta per maturare il diritto a pensione. Cosicché il tasso di occupazione delle persone tra 55 e 74 anni è effettivamente cresciuto, passando dal 20,5% nell’anno 2007 al 33,3% nell’anno 20183.

Il dato statistico ora riportato deve, però, essere accompagnato da alcune osservazioni.

Anzitutto, va rilevato che l’incremento dell’età media degli occupati è derivato anche, almeno in parte, dai cicli negativi che l’economia ha attraversato negli ultimi decenni, per effetto dei quali i più giovani hanno avuto maggiori difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro e, in particolare, ad accedere ad occupazioni stabili. Cosicché all’incremento del tasso di occupazione dei più anziani ha fatto da contraltare un decremento di quello relativo alle altre fasce di età e, in particolare, dei giovani.

In secondo luogo, proprio la complessità del mercato del lavoro, e delle diverse problematiche che ne compromettono il più efficiente funzionamento, ha determinato una forte e costante pressione verso l’introduzione di misure che hanno chiaramente finalità di per sé incoerenti rispetto al predetto obiettivo dell’invecchiamento attivo. Tra queste misure, vanno segnalate, in particolare, quelle dirette a consentire l’accesso alla pensione anticipato rispetto all’ordinario requisito di età anagrafica, le quali sono state motivate dalla finalità di risolvere situazioni di esubero settoriali o aziendali, ovvero di favorire il turn over tra i lavoratori occupati. A questo fine, si sono anche realizzati diversi tentativi diretti a combinare l’uscita dal lavoro degli anziani con l’assunzione di giovani, mediante quella che è stata definita una “staffetta generazionale”. Ma, al riguardo, i risultati concreti non sono stati, sinora, significativi.

Infine, va sottolineato che le riforme intervenute, pur incidendo effettivamente, come detto, sull’elevazione dell’età media di cessazione dal lavoro, non si sono occupate del profilo, che invece è di indubbio rilievo, di come adattare la disciplina del rapporto contrattuale di lavoro alla specifica condizione dei lavoratori anziani, e favorire in tal modo il loro miglior utilizzo e l’interesse delle imprese a trattenerli più a lungo in servizio. Infatti, l’intera normativa che regola i diritti e gli obblighi derivanti dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, tipicamente inderogabile, è rimasta totalmente uniforme e “insensibile” al profilo degli opportuni adattamenti. A ciò si aggiunga, di contro, che i rapporti di lavoro a tempo determinato e i modelli di contratto flessibili (che sono stati nel frattempo introdotti) risultano utilizzati prevalentemente tra i giovani, causando così un ulteriore possibile conflitto tra generazioni.

Estudios sobre la prolongación de la vida activa de los trabajadores

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