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IX. Segue: la pensione di vecchiaia

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Salve alcune ipotesi tassativamente individuate, la disciplina in vigore dal 1° gennaio 2012 prevede che, ai fini della maturazione della pensione di vecchiaia, è necessario aver compiuto almeno 66 anni38.

Dal 1° gennaio 2018 il suddetto requisito anagrafico si applica anche alle lavoratrici del settore privato, e quindi da tale data è prevista la stessa età pensionabile per tutti i lavoratori e le lavoratrici (cfr. art. 24, comma 6, legge n. 214 del 2011; con riferimento alle lavoratrici del settore pubblico, cfr. già Corte di giustizia 13 novembre 2008, C-46/07).

Con cadenza biennale a partire dal 2019, i requisiti di età anagrafica sono adeguati automaticamente all’aumento della speranza di vita (cfr. art. 24, commi 6, 12 e 13, legge n. 214 del 2011; art. 1, comma 206, legge n. 232 del 2016; art. 1, comma 147 ss., legge n. 205 del 2017). Per effetto di tale adeguamento, dal 1° gennaio 2019, al fine di conseguire il diritto alla pensione di vecchiaia, è richiesto il raggiungimento di almeno 67 anni.

La legge, inoltre, incentiva i lavoratori a proseguire l’attività lavorativa anche oltre il compimento dell’età minima, fino all’età di 70 anni.

A tal fine, sono, anzitutto, previsti dei coefficienti di trasformazione periodicamente aggiornati, che assicurano prestazioni di importo superiore quanto più elevata è l’età del pensionamento (e, quindi, minore è la presumibile durata del periodo di erogazione della pensione).

Un ulteriore incentivo a proseguire il rapporto di lavoro, oltre il raggiungimento del requisito anagrafico minimo, è costituito dalla previsione dell’applicazione della tutela contro i licenziamenti illegittimi di cui all’art. 18 della legge n. 300 del 1970 fino al limite massimo di 70 anni (cfr. art. 24, commi 4 e 16, legge n. 214 del 2011).

Senonché quest’ultimo strumento di promozione del prolungamento della vita lavorativa è stato notevolmente “depotenziato” tanto per il settore pubblico quanto per il settore privato.

Infatti, con riguardo al settore pubblico, è stato precisato che l’estensione della tutela contro i licenziamenti non modifica “il limite ordinamentale, previsto dai singoli settori di appartenenza per il collocamento a riposo d’ufficio”, che continua a rappresentare un “limite non superabile”39 (salva restando l’eccezione, di cui si è detto, riferita al caso del lavoratore che, pur avendo raggiunto il limite di età per essere collocato a riposo, non abbia maturato il requisito minimo di anzianità contributiva).

Mentre, con riguardo al settore privato, le Sezioni Unite della Cassazione, dirimendo un acceso contrasto di giurisprudenza, hanno affermato che la richiesta da parte del lavoratore di proseguire il rapporto sino al 70° anno di età non costituisce un “diritto potestativo”, essendo necessario che vi sia un accordo in tal senso con il datore di lavoro40.

In conclusione, si può rilevare che le riforme descritte (in particolare, l’elevazione dell’età minima di accesso al trattamento pensionistico di vecchiaia, l’abrogazione della “vecchia” pensione di anzianità e l’introduzione di un meccanismo di adeguamento dei requisiti anagrafici e contributivi agli incrementi della speranza di vita) hanno realizzato l’obiettivo perseguito di innalzare l’età media di permanenza al lavoro. Tant’è che, come detto, il tasso di occupazione delle persone tra i 55 e i 74 anni di età è effettivamente aumentato in modo significativo negli ultimi anni (passando dal 20,5% registrato nel 2007 al 33,3% nel 2018).

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