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I. La promozione della cooperative compliance nell’ordinamento tributario italiano: il regime di adempimento collaborativo

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Tra i nuovi istituti di promozione della compliance, introdotti nell’ordinamento tributario italiano con l’ultima delega fiscale1, assume particolare rilevanza – ai fini della nostra analisi – il regime opzionale di adempimento collaborativo.

Questo istituto risponde ad esigenze di certezza e stabilità del rapporto tributario tra Fisco ed imprese di grandi dimensioni, come modellato secondo le linee guida della cooperative compliance suggerite dall’OCSE2. Per questi contribuenti, il legislatore tributario italiano ha scelto di abbandonare lo schema tradizionale del controllo fiscale sul dichiarato – mostratosi nel tempo inefficiente ai fini del contrasto dell’evasione e dell’elusione fiscale – per adottare un nuovo modello relazionale basato sul confronto preventivo, volto a definire in contraddittorio (se non addirittura in collaborazione con l’Amministrazione finanziaria) le questioni interpretative sull’imponibile prima ancora che questo venga dichiarato. Dunque, i ruoli rigidamente distinti di chi dichiara e di chi, dopo la dichiarazione, controlla e reprime, hanno ceduto il passo ad una dinamica relazionale meno conflittuale e più collaborativa, volta ad anticipare il controllo sulle questioni fiscali controverse ad un momento antecedente all’adempimento dell’obbligazione tributaria. A tal fine, la grande impresa che intende entrare nel regime di adempimento collaborativo ha l’obbligo di costruire e gestire un efficace sistema di controllo interno delle operazioni rischiose sotto il profilo fiscale e di comunicarle ex ante all’Amministrazione finanziaria la quale, a sua volta, ha il compito di risolvere i dubbi interpretativi sulle fattispecie controverse al fine di stimolare l’adempimento spontaneo della ‘giusta’ misura dell’imposta3. Come è noto, questo nuovo modello relazionale risponde all’esigenza di ridurre la conflittualità tra l’ Amministrazione finanziaria e i contribuenti con vantaggi per entrambi i soggetti: da un lato, i contribuenti che intendono essere compliant hanno la possibilità di gestire ‘responsabilmente’ il proprio ‘rischio fiscale’ (inteso come il rischio di operare in violazione di norme di natura tributaria o in contrasto con i principi o con le finalità dell’ordinamento tributario)4 e, dunque, di superare l’incertezza interpretativa sulle fattispecie controverse e conoscere, in via preventiva rispetto alla presentazione della dichiarazione dei redditi, quale è il comportamento da tenere per non incorrere, in sede di controllo fiscale, nella violazione della legge tributaria; dall’altro, l’Amministrazione finanziaria ha l’opportunità di colmare il proprio gap informativo sul business dell’impresa attraverso la disclosure dei comportamenti fiscali del contribuente e superare così la tradizionale ritrosia verso l’interpretazione valutativa delle questioni fiscali controverse; una ritrosia che è stata alimentata, soprattutto in passato, da una cultura burocratica-formalistica incline ad applicare tout court la legge tributaria anziché ad interpretarla criticamente al fine di meglio qualificare le fattispecie di dubbia interpretazione5.

Le contestazioni interpretative dell’Amministrazione finanziaria sul regime fiscale degli imponibili dichiarati hanno spesso finito per rendere complesso e gravoso il corretto adempimento degli obblighi fiscali. Il contribuente non sempre si è potuto affidare ex ante ad una ragionevole aspettativa sul grado di certezza del trattamento fiscale del dichiarato e ciò soprattutto quando l’Amministrazione si è spinta fino ad esprimere un giudizio di inadeguatezza sul comportamento del contribuente stesso tanto con riferimento all’abuso del diritto quanto all’antieconomicità delle scelte aziendali6. Tutto ciò ha prodotto effetti negativi sulla tax compliance che hanno spinto il legislatore tributario a cambiare la direzione dei propri interventi nella convinzione che il confronto preventivo tra Fisco e grandi contribuenti, basato sulla trasparenza dei comportamenti e sul reciproco affidamento, favorisca l’emersione spontanea delle basi imponibili, con conseguente recupero del tax gap. Pertanto, se nei controlli ex post, l’Amministrazione finanziaria era solita recuperare la maggiore imposta in base a mere riqualificazioni giuridiche del dichiarato basate su orientamenti giurisprudenziali inclini a rafforzare la tutela dell’interesse fiscale7, nel confronto ex ante con i contribuenti di grandi dimensioni l’Amministrazione ha l’opportunità di recuperare regole certe sulla necessaria coerenza che l’azione amministrativa di imposizione deve assicurare rispetto alle norme sostanziali di determinazione del tributo8 nonché di esercitare l’attività di imposizione secondo i criteri di efficacia, efficienza ed economicità – intesi come declinazioni del principio costituzionale di buon andamento ed imparzialità della Pubblica Amministrazione (art. 97 Cost.) – nell’ottica di prevenire piuttosto che reprimere i comportamenti scorretti dei contribuenti ai fini della dichiarazione dei redditi.

Il successo, in termini di innalzamento del livello di tax compliance, di questo nuovo modello relazionale è, tuttavia, subordinato ad una sorta di rivoluzione copernicana nella gestione del rapporto tra grande impresa ed Amministrazione finanziaria. Il regime di adempimento collaborativo potrà raggiungere gli scopi prefissati solo se il passaggio dal controllo ex post al confronto ex ante sarà accompagnato da un percorso di rivoluzione culturale nei comportamenti sia dell’Amministrazione finanziaria che dei contribuenti affinchè entrambi si dirigano verso l’obiettivo comune della corretta applicazione della legge tributaria volto a garantire un fisco equo e sostenibile9.

Nel nuovo regime di adempimento collaborativo, il contribuente che intende adempiere correttamente dovrà fornire ‘responsabilmente’ all’Amministrazione finanziaria tutte le informazioni necessarie per meglio qualificare le questioni fiscali controverse; l’Amministrazione finanziaria, in qualità di garante dell’applicazione della legge, dovrà utilizzare ‘responsabilmente’ tali informazioni senza avere “remore e timore di fare delle scelte valutative”10 nell’esercizio, tuttavia, di un’attività vincolata come è quella amministrativa di imposizione11.

In questo nuovo contesto, le interlocuzioni “costanti” e “preventive” – che rappresentano uno degli elementi distintivi dell’istituto in esame – mirano a garantire una maggiore adeguatezza e completezza dell’istruttoria nell’interesse delle stesse parti e della collettività dei consociati, attenuando il rischio di pretese infondate e, quindi, riducendo il sorgere delle liti. A tal fine, il confronto dialettico con il contribuente diventa un’area di dialogo “equivalente” anziché “alternativa” alla giustizia tributaria alla quale spetterà decidere solo nei casi in cui tra contribuente e Fisco permangono contrasti insanabili12.

La creazione di un contesto di maggiore certezza nei rapporti con il Fisco, in via anticipata rispetto all’adempimento degli obblighi tributari, consentirebbe inoltre alle grandi imprese, italiane ed estere, che intendono investire in Italia, di acquisire certezza sulle fattispecie di dubbia interpretazione e, dunque, di prevenire la possibilità di accertamenti tributari, sanzioni e danni reputazionali che finirebbero per rendere il nostro Paese meno attrattivo e competitivo.

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